Cena con delitto un giallo, dal titolo apparentemente classico, appena uscito ma con una fama che lo precede da prima del suo arrivo nel bel paese. Recensioni positivissime, sia da parte della critica che da parte dei profani, noi, il pubblico.
Un film che si tuffa in un genere ormai assodato, a tratti trito e ritrito, il giallo, che, per molto tempo, ci ha fatto credere che non avesse più niente da raccontare.
Una storia originale, che però rimane fedele alla classicità del proprio genere, proponendo, appunto, una trama standardizzata, gettandola però nelle dinamiche del mondo moderno.
È la sera dell’ottantacinquesimo compleanno di Harlan Thrombey, un ricco scrittore e proprietario di una redditizia casa editrice. Tutta la sua famiglia si ritrova insieme, nella lussuosa magione, per festeggiare l’evento.
La cena scorre tutt’altro che serenamente: infatti quasi tutti i parenti della futura vittima avranno discussioni con il malcapitato, generando quindi screzi e dissapori, fornendo quindi buoni moventi per un omicidio.
Il mattino seguente il corpo del signor Thrombey viene ritrovato esanime, nel suo studio, con la gola tagliata. Per gli investigatori, per quanto con modalità insolita, il caso è da archiviare come suicidio.
Soltanto per l’ispettore privato Benoit Blanc, che, come tutti gli ispettori che si rispettino, porta un nome francese, si tratta di omicidio.
La presenza di Blanc è un mistero nel mistero: si trova lì, incaricato da chissà chi, chiamato a portare luce su un caso di possibile ma improbabile assassinio.
Il primo tempo si muove lento e apparentemente noioso, dopo una mezz’ ora il caso per il pubblico sembra essere risolto e ci si aspetta di rimanere lì fermi, per il resto della pellicola, ad aspettare che anche l’ispettore arrivi alle stesse conclusioni. Ma non è così scontato come sembra.
Benoit Blanc, che all’inizio si presenta forte e carismatico, diventa sempre più confuso, confusionario e impacciato, tanto che a tratti ci si chiede se ci è o ci fa. Accompagnato in quest’improbabile avventura dall’infermiera del povero defunto si barcamenerà in situazioni grottesche, fino a giungere all’epilogo della vicenda, ma non al vissero per sempre tutti felici e contenti.
Il giallo però non si propone solo di raccontare un’elaborata trama di un omicidio, un esercizio fine a sé stesso, la sola voglia di intrattenere con una storia intricata e molto più complessa di quello che sembra. Fosse stata solo semplice narrazione polizzesca, il cui unico obiettivo fosse quello di rimettere tutti al proprio posto, non sarebbe così geniale.
La famiglia ricca non è una semplice famiglia ricca. È il ritratto della borghesia più becera ed ipocrita, una famiglia lacerata, fondata su rancore e soldi, da sempre spaccata, senza cuore, unita soltanto davanti al Dio denaro.
Il marciume borghese viene descritto mediante il grottesco, la satira e l’ironia più scorretta.
Bellissima la rappresentazione del rapporto della famiglia con Marta, l’infermiera. Tutti l’adorano, tutti l’avrebbero voluta al funerale “ma sono stati gli altri a dire di no”,tutti la vorrebbero aiutare ed accudire, perché se lo merita, perché è straniera e la famiglia si sente così di buon cuore ad averla accettata in casa. Una di famiglia, come la definiscono i Thrombey, ma da dove viene la sua famiglia, non se lo ricordano mica.
L’infermiera ecuadoriana, brasiliana, paraguayana. Non importa sapere da dove viene, quello che conta è la consapevolezza dell’essere una brava famiglia, perché la si è accolta a braccia aperte.
C’è poi la rappresentazione della scalatrice sociale, Joni , vedova di uno dei figli di Thrombey, la quale rimane affezionatissima alla famiglia, anche dopo la morte del marito. Un giallo nel giallo, mi è venuto da pensare, chissà in che circostanze se ne è andato il poveretto. Un affetto non ricambiato, come riusciamo a cogliere da alcuni divertenti spezzoni della cena. Ma Joni, Joni tiene così tanto a tutta la famiglia e ai loro soldi, che le servono per far educare la figlia Meg ma che rischia di perdere per volontà del signor Thrombey, che ha scoperto di come, in realtà, era riuscito a fregarlo.
E il neonazista della famiglia, Jacob, un sedicenne vestito per bene che passa il suo tempo alienandosi dalla realtà e vivendo dietro lo schermo di un cellulare, accusato di masturbazione compulsiva ed esageratamente di zoofilia, che non parla molto ma dice molto della nuova generazione.
Non poteva mancare la coppia apparentemente perfetta ma piena di corna. Composta da Linda, una donna che si è fatta da sola, la self-made woman ma con i soldi del padre, e suo marito, un traditore seriale attento alle apparenze, così attento da poter uccidere chi lo minaccia se rivelerà la sua doppia vita? Sicuramente così senza vergogna da provare a corrompere i poliziotti con una bella mazzetta di soldi, credendo, da bravo ricco, che non c’è problema al mondo che non possa essere risolto così.
Ransom, il tipico ricco spocchioso e stronzo che tratta male la servitù con il solo scopo di evidenziare le differenze di classe, per sbattere in faccia i suoi agi, convinto che, solo perché è pieno di soldi, si possa permettere di comportarsi con gli altri a proprio piacimento. Così stronzo, che gli unici che devono chiamarlo con il primo nome di battesimo sono proprio quelli della servitù, per sottolineare e denigrare ancora di più un gruppo di onesti lavoratori.
Cena con delitto è un film che prende il giallo e lo potenzia, stravolge ruoli, personaggi, dà un nuovo volto, trasforma una tragedia in una commedia e una commedia in una tragedia, gioca con il classico ed il moderno, li fa convivere insieme senza stonare.
Due film in uno: un giallo e la storia di una famiglia disfunzionale, due racconti che sarebbero potuti esistere indipendentemente l’uno dall’altro, ma che non sarebbero stati così geniali e completi se non fossero convissuti insieme sullo stesso schermo.
La narrazione di Cena con delitto scorre bene e risulta divertente proprio grazie agli sketch e all’intreccio familiare che si viene a creare, generando quindi un duo che si prende perfettamente a braccetto, che permette di portare uno schema narrativo decisamente classico senza però farlo scadere nel noioso. Un giallo che si snoda sia seguendo le regole consolidate del genere sia scimmiottandosi, prendendosi poco sul serio, originale e parodia.
Un buon lavoro di squadra che permette di trascorrere un paio d’ore tra riflessione e intrattenimento, giungendo alla fine della pellicola con la sensazione d’aver seguito un film sia leggero che pesante, sia cupo che divertente. Una sorta di ying e yang cinematografico.
Cast d’eccellenza, easter eggs, bellissima infatti la seduta del l’interrogatorio che ricorda il trono de Il trono di spade, ironia, leggerezza e tanta, tanta consapevolezza.
Ben fatto Rian Johnson.
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