Pinocchio, diretto da Matteo Garrone, è una nuova e meravigliosa versione delle avventure del discolo toscano, nato dalla mente di Carlo Collodi, alias Carlo Lorenzini.
Reduce dal successo di Dogman, Garrone si discosta dalle tematiche sociali che avevano fatto parte della sua prima filmografia (L’imbalsamatore, Gomorra, Reality), per riapprodare nel mondo del fantastico.
Dopo Il Racconto dei Racconti e il suo ultimo film, infatti, il regista romano sogna di allestire un film basato sulle avventure del burattino di legno più famoso del mondo. Assieme al comico toscano Massimo Ceccherini, che nel film ricopre il ruolo della Volpe, Garrone scrive il film e lo adatta tenendo presente non solo il suo personale modo di dirigere e di creare ma anche i suoi sogni di bambino.
Il Pinocchio di Garrone è in effetti, più che una fedele ricostruzione del romanzo di Collodi, una trasposizione fedele ai gusti del regista. Tralasciate alcune parti, tagliati alcuni eventi e alcuni personaggi, il film è abbastanza scarno e libero per poter addobbare una storia in cui a fare veramente da padrone è la tecnica meticolosa degli effetti speciali.
Il povero falegname Geppetto si fa dare dal collega, Mastro Ciliegia, un ciocco di legno. In una notte Geppetto realizza un burattino di legno al quale da il nome di Pinocchio. Quest’ultimo, disubbidiente e non contento di andare a scuola, scappa per andare a vedere lo spettacolo dei burattini. Da quel momento iniziano le famigerate avventure che lo portano a conoscere i tanto amati personaggi come la Fatina dai capelli turchini, la Lumaca, Mangiafuoco, e anche quelli più spregevoli, come il Gatto e la Volpe.
Questo è il riassunto della storia come noi tutti la conosciamo. Nel mezzo, infinite facce e svariati personaggi. Ciò nonostante, Garrone taglia, ricompone, cancella e in maniera al quanto sbrigativa accelera i tempi. Non si sofferma su ogni piccolo particolare. Non traspone ogni vicenda accaduta al piccolo Pinocchio: a parte Luigi Comencini, nessun altro lo ha mai fatto.
Garrone elabora il suo Pinocchio secondo un suo punto di vista, soffermandosi più sulle sue sensazioni, ovvero sulle parti di quel romanzo che a lui personalmente affascinano di più. Si nota infatti come alcune scene siano più ricche di dettagli ma soprattutto più lunghe: il momento in cui Geppetto costruisce il suo burattino, o quando Pinocchio conosce la fatina, dalla quale torna più volte.
Altre scene, invece, o sono state accorciate o semplicemente tralasciate. Particolare attenzione Garrone la rivolge al minuzioso compito di lavorare con il fantastico e le sue tecniche sempre più all’avanguardia: e in questo film si nota perfettamente. In una sorta di realismo fantastico, come molti lo hanno chiamato, Pinocchio stesso è reso in maniera che appaia ai nostri occhi come un vero e proprio bambino di legno.
Questo, naturalmente, si può dire anche per gli altri personaggi. Garrone lascia spazio ad effetti speciali che ricalcano in maniera pregevole e superba la realtà, senza dimenticarci della scelta degli attori che sanno come essere diretti e indirizzati.
Roberto Benigni, che nel 2002 aveva vestito i panni del protagonista, ora si trova, e molto bene, a vestire quelli di Geppetto. Il cast tutto, è davvero interessante: Massimo Ceccherini, Rocco Papaleo, Marine Vacth, Gigi Proietti nella parte di Mangiafuoco, Paolo Graziosi e Massimiliano Gallo. Per ultimo, ma non ultimo, Federico Ielapi, che nel film interpreta Pinocchio, assieme agli altri piccoli attori.
Pinocchio di Matteo Garrone è un fantastico film sul fantastico mondo di questo amato personaggio. Un’opera forte dal punto di vista registico e degli effetti speciali. Un film che si regge anche sulla bravura degli attori, compreso il piccolo Ielapi.
Tuttavia, si perde a poco a poco, nella foga di mostrare un addobbo perfetto di scene e scenografia. Sterile di morale, Garrone abbandona il significato profondo dell’opera di Collodi che voleva educare. Garrone si limita più a mostrare.
Tuttavia non gli si può dare neanche torto. Pinocchio, oltre ad essere letto, va immaginato. Attraverso gli occhi del regista possiamo perciò crogiolarsi per due ore nella sua personale, infantile e pittoresca rappresentazione.
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