“Aveva un aspetto banale”, dice una giovane all’ex poliziotto Park Du-Man nel film di Bong Joon-ho, Memorie di un assassino.
Con questa frase si può riassumere il caso irrisolto del primo serial killer sud coreano che fra gli anni ottanta e novanta ha seminato terrore nella cittadina di Hwaseong.
Il vincitore del premio Oscar per Parasite, Bong Joon-ho, nel 2003 recupera questa storia di omicidi e investigazioni e ne fa uno dei più bei thriller del nuovo millennio. Con la sua inconfondibile poetica, che molti considerano come strettamente legata a quella di un Pasolini, Joon-ho cerca di dare un volto tangibile ad un omicida che non si riesce a identificare.
Solo ultimamente il caso è stato riaperto portando a delle più concrete certezze. Eppure all’epoca, e nel momento in cui Memorie di un assassino è stato girato, le sembianze dell’individuo erano completamente ignote. Forse è per questo che il film è così avvincente nel suo modo di non mostrare mai il vero colpevole: proprio perché non può farlo.
“Volevo davvero vedere la sua faccia. Ho anche provato a immaginarmi il suo volto e a disegnarlo”
Bong Joon-ho
La trama di Memorie di un assassino
Il detective di polizia Park Du-Man (Song Kang-ho), è talmente deciso a rintracciare l’assassino di giovani donne vestite di rosso durante le notti di pioggia, che assieme al fidato Chong Yong-gu costruisce prove indiziarie, ricorrendo anche alla tortura, pur di scaricare la colpa sul primo che passa, anche se quest’ultimo non c’entra niente.
Tuttavia c’è una serie di indizi che ogni volta fanno crollare quelle prove e tutto ricomincia da capo. Mentre Du-Man continua con i suoi sistemi feudali, il giovane detective di Seul, Seo Tae-yun, usa metodi più tradizionali e poco alla volta si avvicina alla verità.
La stessa canzone, Lettera Triste, viene richiesta da uno sconosciuto ascoltatore radiofonico nelle sere piovose, le vittime sono sempre uccise tramite i propri capi intimi, e nella scuola della cittadina corrono voci su un uomo che la notte esce dal bagno e comincia a uccidere.
I due detective sono sempre molto più vicini alla verità, anche se questa fatica a mostrarsi.
Con la febbre per Parasite, si riscopre la filmografia di un grande regista. Quasi vent’anni più tardi, anche da noi esce al cinema Memorie di un assassino (Memories of murder): quello che si potrebbe definire un manifesto della poetica del regista sudcoreano.
Infatti, nel gioco di ombre e colpi di scena che il thriller più classico può conservare, Joon-ho accosta le tematiche sociali a cui è legato e che fanno da sfondo alla storia, oltre che a una buona dose di humor grottesco insito nei personaggi e nelle loro azioni: vero e proprio marchio di fabbrica dell’autore. Una storia vera, radicata ormai in quella società, mescolata alla finzione di un buon romanzo poliziesco e alla strana commedia della vita.
Solo nel 2019, un certo Lee Choon-jae confessò di aver ucciso nove delle dieci donne a Hwaseong. L’uomo era già stato condannato all’ergastolo per l’omicidio della cognata.
“Finalmente ho potuto vedere il suo volto pubblicato sui giornali. Guardarlo mi ha fatto provare sentimenti complicati”
Bong joon-ho
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