In occasione della festa della donna prendiamoci un momento per riflettere e per informarci su un tema per molti sconosciuto e da molti sottovalutato, quello del femminismo islamico. Trai vari documentari sull’argomento The noble struggle of Amina Wadud, girato da Elli Safari nel 2005, tratta la figura di Amina Wadud.
Amina Wadud è una delle maggiori esponenti del femminismo islamico, una corrente che si è sviluppata negli anni ’80 all’interno di comunità islamiche di tutto il mondo. Amina Wadud nasce in Virginia da una famiglia cristiana, come molti altri afroamericani decide di convertirsi all’islam seguendo l’esempio di Malcom X, alla ricerca di condizioni sociali migliori per la comunità nera americana. Presto Amina si avvicina alle sacre scritture islamiche, impara l’arabo e diventa un’esperta del Corano. Intraprende anche la carriera di professoressa universitaria di teologia islamica.
Amina Wadud ha dichiarato di essersi avvicinata alle scritture per conoscere la volontà di Allah rispetto alle donne islamiche. Avendo trovato nel Corano principi di uguaglianza e giustizia condivisa per uomini e donne, bianchi e neri, ricchi e poveri; la Wadud sviluppa una fede reale e forte. Viaggia in molti paesi in Africa e in Asia, cercando di guidare le donne musulmane nella lettura e interpretazione autonoma delle sacre scritture. Amina Wadud, come tutte le femministe islamiche, sostiene che il Corano non sia maschilista o patriarcale ma che sia stato manipolato.
L’interpretazione delle scritture, ijtihad, è proibita e le leggi islamiche si fondano su un’interpretazione patriarcale data da una ristretta elitè di uomini al fine di concentrare nelle proprie mani il potere. Amina fa particolarmente pressione sul concetto di giustizia che, secondo lei, percorre in modo lampante tutto il Corano. Il documentario della Safari offre un rapido ma preciso sguardo sul pensiero dell’attivista.
La regista segue Amina durante varie giornate, nei momenti privati e pubblici, cercando di mettere in primo piano la quotidianità di una donna come tutte le altre che, come tutte le altre, è capace di fare grandi cose. Non solo la sua quotidianità è messa in risalto ma anche quella della comunità nera negli Stati Uniti. Tutto sulle note di potenti voci afroamericane come sottofondo. Nel mondo, la condizione delle donne nere musulmane spesso è di doppia discriminazione, di genere e di “razza”.
Il documentario mostra diverse opinioni espresse da Amina Wadud nel corso del 2005. E’ assente qualsiasi tipo di voce fuori campo che guida l’avanzare della scena. Le immagini si susseguono una dopo l’altra senza seguire un ordine preciso. Tuttavia il video non risulta confuso. Rappresenta spaccati di vita scelti per la loro semplicità ma anche per la loro potenza e capacità di rivelare la personalità e il pensiero di Amina Wadud.
Amina Wadud passa alla storia per essere stata la prima donna a condurre la preghiera mista. Vige infatti il divieto per le donne di diventare imam, cioè guide spirituali, oltre che l’impossibilità per uomini e donne di pregare insieme. Nel documentario la Safari non mostra questo grande evento, anche se ha avuto luogo nello stesso 2005. Mostra, però, la seconda volta che Amina guida la preghiera mista, in occasione del Congresso islamico spagnolo. Mostra le tensioni che la Wadud ha dovuto superare, i pregiudizi e persino le minacce.
Il documentario, in solo 30 minuti, cerca di esplicitare la spirito di Amina Wadud e le sue idee religiose.
“Abbiamo bisogno di bilanciare la scena, deve esserci maggior attenzione al genere e un maggior riconoscimento delle azioni in ogni area, pubblica e privata, sia per le donne che per gli uomini. Così che loro possano servire il thè e lavare i piatti, perchè Allah riconosce ogni atto”.
Con queste parole si vuole evidenziare la convinzione che uomini e donne all’interno del Corano sono uguali e ugualmente sottomessi ad Allah. Inoltre, non solo le azioni politico-socio-economiche hanno valore, ma anche quelle legate alla sfera domestica e per questo sia uomini che donne devono occuparsi di entrambe.
Per la Wadud il rapporto tra uomo e donna è orizzontale e le responsabilità sono intercambiabili. Per dimostrarlo Amina non perde tempo discutendo di piccolezze ma affronta direttamente il tema più grande di tutti e conduce uomini e donne in preghiera. Molti decidono di seguirla, molti la criticano e la minacciano. Ma il suo gesto cambia la storia dell’islam.
Amina opera negli Stati Uniti e, come dice nel documentario, è consapevole di trovarsi in una posizione facilitata rispetto alle donne delle aree arabe. Tuttavia il femminismo islamico si sviluppa in modo autonomo in molti paesi. Una delle esponenti più importanti di questa corrente nel mondo arabo è la marocchina Fatima Mernissi.
Molte di queste donne rifiutano il titolo di femministe in quanto sostengono che non sia necessario essere femministe per capire che il Corano prevede l’uguaglianza di genere. Inoltre criticano il femminismo occidentale e soprattutto l’idea, diffusa in Europa, che la donna musulmana debba essere salvata da una religione che la schiavizza.
Per queste attiviste infatti non è la religione la responsabile della condizione di inferiorità delle donne musulmane. Anzi, la religione è lo strumento di liberazione. Il femminismo islamico è sostenuto anche da molti uomini che considerano l’uguaglianza di genere un passo fondamentale nel cammino verso il progresso dei paesi arabi.
Un tema molto dibattuto tra femminismo islamico e femminismo di occidente è quello del velo. Il documentario mostra Amina Wadud che si toglie il velo per andare dalla parrucchiera. Mentre si fa la tinta, la Wadud racconta la sua opinione. Il velo serve per identificarsi con l’islam, è un simbolo. Allo stesso tempo è solo un oggetto e non è necessario nè sufficiente per essere islamici. Portarlo deve essere una scelta e il Corano non lo impone così come non impone la separazione tra uomini e donne, il divieto per le donne di condurre la preghiera, la poligamia, la facoltà per l’uomo di punire la moglie e così come non suggerisce nessun tipo di discriminazione tra uomini e donne e nessun tipo di vicinanza dell’uomo ad Allah.
Il documentario è reperibile in lingua inglese su YouTube e ha una durata di circa 30 minuti. Visto che le condizioni sanitarie in cui verge il nostro paese quest’anno impediscono le adunanze tra amiche in cerca di vino e spogliarellisti, forse è la volta buona che si passi veramente la serata sul divano a guardare un documentario e celebrando l’8 marzo riflettendo.
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