“L’eccitamento che un giocatore d’azzardo prova quando fa una scommessa è pari alla somma che potrebbe vincere”. Il seguente aforisma è del compianto filosofo e teologo francese Blaise Pascal. Frase che risulta essere molto attinente col significato di Febbre da cavallo, un’ esilarante commedia all’italiana da gustare letteralmente a briglia sciolta.
Il film, uscito nelle sale italiane nel 1976, narra le vicissitudini di tre amici accomunati dalla passione comune per le corse dei cavalli. Bruno Fioretti detto Mandrake (Gigi Proietti), Armando Pellicci detto Er Pomata (Enrico Montesano) e Felice Roversi (Francesco De Rosa) infatti sono tre perdigiorno che passano il loro tempo a scommettere sui cavalli in modo ossessivo ed economicamente dannoso. A tal proposito si troveranno costretti ad organizzare esilaranti truffe ai danni di poveri malcapitati, con lo scopo di racimolare il denaro necessario per giocare.
Steno, uno dei padri della commedia all’italiana, con Febbre da cavallo ci racconta in chiave ironica il mondo delle scommesse e soprattutto degli scommettitori seriali. Persone, queste, che hanno dentro di sé il demone del gioco che li spinge ad atti meschini ed egoistici.
La ludopatia è considerata una vera e propria malattia curabile con un sostegno psicologico o con l’ausilio di psicofarmaci. La percentuale dei soggetti dipendenti dal gioco d’azzardo varia dallo 0,4℅ al 3,4℅ negli adulti, mentre risulta essere maggiormente colpita la fascia degli adolescenti.
Febbre da cavallo ci racconta tutto questo seguendo gli schemi classici dell’intramontabile commedia all’italiana e servendosi di attori in stato di grazia. Gigi Proietti sfoggia tutto il suo istrionismo e mette in risalto le sue proverbiali capacità affabulatorie. Enrico Montesano dal canto suo tratteggia in modo esemplare il classico romanaccio indolente e cinico. Pur di raccattare il denaro necessario per le scommesse ippiche non esita ad inscenare la finta morte della nonna.
Il cast di contorno non è da meno e annovera autentici fuoriclasse della comicità nostrana del calibro di Mario Carotenuto e Adolfo Celi, mentre la parte femminile della pellicola è affidata alla bellissima ed affascinante Catherine Spaak. Pensate che quando uscì nelle sale il film ottenne incassi mediocri. Anche la maggior parte della critica lo giudicò negativamente. Nel corso degli anni però le persone iniziarono ad amarlo sempre di più fino ad elevarlo allo status di vero e proprio film Cult.
Tutto questo spinse Carlo ed Enrico Vanzina, figli di Steno, a realizzare nel 2002 un autentico sequel dal titolo Febbre da cavallo – La mandrakata. Qui ancora una volta il mattatore è Proietti che la fa da padrone, Affiancato da un ritrovato Montesano e da un parterre di attori eccellenti come Carlo Buccirosso, Rodolfo Laganà e Nancy Brilli.
La mandrakata, presente nel titolo, è un termine goliardico prettamente romanesco. E’ entrato nell’immaginario collettivo grazie al film e sottintende una trovata ingegnosa che permette di risolvere una situazione complicata. Gigi Proietti ebbe il merito di sdoganare questo singolare termine ispirandosi ad un celebre mago dei fumetti degli anni Trenta: Mandrake.
E voi mi raccomando, non fatevi prendere dalla Febbre da cavallo! Mi congedo offrendovi un vischio maschio senza fischi, no scusate un rischio maschio senza whisky, anzi un teschio maschio senza fischio. Finalmente me ne sono ricordato, volevo offrirvi semplicemente un Whisky maschio senza rischio!
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