Suburra è un film del 2015, diretto da Stefano Sollima e tratto dal romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. Prima del successo della serie televisiva, c’è stato il successo cinematografico.
Scritto a quattro mani assieme a Stefano Rulli, il regista romano, legato a storie di malavita organizzata, dal collega e amico De Cataldo riprende questo ulteriore racconto. In maniera anche epica e in uno stile simile a quello della tragedia greca, parla di un periodo di storia italiana dove davvero sembrava si preannunciasse una terribile apocalisse. Quel lontano 2011, quando ci fu la rinuncia di Papa Ratzinger, cadde il Governo Berlusconi, si scoprì lo scandalo di mafia capitale e della famiglia rom dei Casamonica.
La trama di Suburra – “E’ stata Roma!”
Mancano sette giorni all’apocalisse. In una Roma uggiosa e piovosa sta per crollare l’impero dei vari boss che la comandano. Il boss Samurai (Claudio Amendola), comanda tutta Roma e tutti dipendono da lui. Aureliano Adami (Alessandro Borghi), detto Numero 8, comanda Ostia, che vuole trasformare in una Las Vegas. Anche lui, in un certo qual modo, dipende dal Samurai.
Nel frattempo l’onorevole Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino), schierato col governo, in una notte di sesso e droga, rinviene scoprendo che una delle due prostitute è morta. Chiede all’altra di chiamare qualcuno per disfarsi della ragazza, mentre lui se ne va come se non fosse successo niente.
La ragazza, però, chiede aiuto ad Alberto Anacleti (Giacomo Ferrara), detto Spadino. Membro della famiglia degli zingari, dopo essersi sbarazzato della donna, va da Malgradi per ricattarlo. Quest’ultimo, fa chiamare Numero 8 per parlare con Spadino e intimorirlo. Numero 8, invece, lo uccide a sangue freddo e senza pensarci due volte.
In questo momento entra nella storia la Famiglia Anacleti comandata da Manfredi (Adamo Dionisi), fratello maggiore di Spadino che, per vendicare il fratello, manda i suoi a uccidere numero 8, senza però riuscirci.
Il Samurai, per porre fine alla faida, è costretto a far entrare Manfredi nell’affare di Ostia. Deve solo fare in modo che Malgradi faccia passare la legge sugli appalti. Numero 8, tuttavia non è affatto contento della presenza di Manfredi. Stufo di questa storia tratta a male parole il Samurai.
Il primo a cadere è proprio Aureliano, ucciso dal Samurai in persona. Nel frattempo c’è il papa, boss anche lui, che, colto da una crisi spirituale, rinuncia alla carica. C’è poi il governo. Con la crisi e la corruzione che aveva portato avanti, cade nel baratro e cola a picco portandosi via anche l’onorevole Malgradi, che nel intanto aveva fatto passare la legge.
Manfredi, che si era ritrovato solo nell’affare insieme al Samurai, viene sorpreso da Sebastiano (Elio Germano): un giovane che, a causa dei debiti che il defunto padre aveva con gli zingari, era diventato un loro galoppino e non poteva sottrarsi. Giunto al limite della sopportazione e dopo aver servito Manfredi, lo attende fuori dalla villa e lo stordisce a colpi di crick. Dopo averlo trascinato fino alla piscina lo lega, lo getta nella gabbia del cane e lo fa sbranare.
Infine c’è il Samurai, il quale, convinto di essere un boss intoccabile, anche lui viene sorpreso da qualcuno. Viola (Greta Scarano), la fidanzata tossico dipendente di Numero 8, riuscita fuggire alla congiura, riesce a tendergli un’imboscata. Decisa a vendicare il fidanzato, crivella a colpi di pistola il boss. Successivamente se ne va, sotto una pioggia battente che fa straripare il Tevere.
Tutte le tessere del domino cadono. Gli ultimi imperatori di Roma sono stati sorpresi con le braghe calate. Quando ne va giù uno, tutti gli altri lo seguono.
È quello che, in maniera non molto dissimile, è avvenuto nella realtà. E Sollima, prendendosi anche una certa dose di libertà, si allontana un po’ dal romanzo di Bonini e De Cataldo. La sua Suburra è una tragedia dove però si riesce ad avere una certa vendetta nei confronti di quei cattivi che, o nell’ombra o alla luce del sole, comandavano secondo la propria legge.
Grazie a Dio, Suburra non segue le indicazioni di Aristotele, il quale diceva che nella tragedia i vari personaggi non dovevano essere né buoni né cattivi, ma solo uomini spinti dal fato. Qui, invece, siamo anche costretti a odiare gli antagonisti. Non ci si riconosce in nessuno di loro, e si gode nel vederli morire.
Uccisi dalla troppa ingordigia e sete di potere. Caduti sotto il peso di quella stessa sovranità e la forza del popolo minuto, che dagli strati bassi della società esce per chiedere giustizia. L’acqua che scorga senza sosta dal fiume e dalle fogne alla fine del film, è un diluvio che risciacqua e disinfetta la città. Dopodiché la vita e la giustizia possono rinascere. Ahimè, anche il male.
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