L’uomo senza gravità, con Elio Germano per la regia di Marco Bonfanti. Figlio di quei film legati al mondo dei supereroi che da qualche tempo stanno modificando la nostra maniera di pensare e fare cinema.
Quello italiano ha visto una nuova possibile era già a partire dal 2014 grazie a Gabriele Salvatores. Dopo Il ragazzo invisibile, infatti, il nostro cinema è stato letteralmente travolto da una corsa alla fantascienza e al fantasy senza precedenti. Da quel momento sono venute fuori moltissime buone idee come Lo chiamavano Jeeg Robot e Il ragazzo invisibile – Seconda generazione.
Come Sergio Leone rivoluzionò il western, così adesso si cerca di dare agli eroi dei fumetti e al mondo fantastico un aspetto restaurato e sicuramente più italico. Ben distante dai grandi Colossal hollywoodiani e molto più lontano dal solito lieto fine che la vita americana ha spesso imposto nei film e nella nostra cultura. Il film di Bonfanti segue la stessa scia di storie incredibili ma ambientate, come è già accaduto, in un contesto di neorealismo italiano alquanto drammatico, meno positivo.
La trama de L’uomo senza gravità
L’uomo senza gravità, prodotto e distribuito da Netflix a partire dal 14 ottobre 2019, racconta l’infanzia, la giovinezza e l’età adulta di Oscar, un uomo che non ha effettivamente gravità e fluttua nell’aria come se stesse nello spazio. Nel cast anche Michela Cescon, Elena Cotta, Cristina Donadio e Andrea Pennacchi.
Segregato dalla vecchia e religiosa nonna per paura che diventi un emarginato, Oscar finisce col diventarlo lo stesso, vivendo i suoi primi anni nella piccola e povera casa. Sogna di andare via un giorno, per poter esprimere la sua natura e i suoi poteri. Diventato grande e abbandonato la madre, anche lei opprimente e iperprotettiva, diventa una star all’estero dove ha modo di esibirsi in show e programmi televisivi. Quando la popolarità inizia ad opprimerlo si finge morto e torna dalla madre. Quando anche quest’ultima se ne va, Oscar, sotto mentite spoglie, diventa portiere di un albergo a luci rosse.
Interpretato da un sempre camaleontico Elio Germano, L’uomo senza gravità è il resoconto di un individuo che quando non ha vorrebbe avere, e quando ha vorrebbe tornare a non avere. È un po’ un’ironico riassunto del malcontento umano, fino ad arrivare al malcontento dei grandi artisti, della musica, della pittura, del cinema, che vogliono la fama, e nel frattempo cercano di sfuggire alla stessa notorietà. Tanto bramosi di gloria, come della sacra privacy.
Germano, che ora è un timido ragazzo del nord Italia, veste i panni di un uomo dotato di un potere fuori dal comune. Tuttavia non vuole essere un supereroe e fugge perciò il successo. Preferisce essere quello che è senza mettere in mostra i suoi poteri. Un po’ il contrario dei mitici Superman, Spiderman o Batman.
Se questi nascondono la propria identità per salvaguardare anche la famiglia, Oscar finisce col nascondere la propria identità e i propri poteri per essere normale. In definitiva, per non avere tante rotture di palle. Diventa sì un Batman nostrano, ma con lo scopo di pulire i vetri di un futuristico ospizio di anziani situato su un grattacielo.
Il supereroe in cerca di stabilità economica
L’uomo senza gravità rincorre una normalità che però sia anche ricompensata. Si stravolge completamente il ruolo del supereroe che agisce perché nobile d’animo e perché vuole proteggere il cittadino indifeso. Ora l’eroe è un essere che fa parte di questa società: anche lui non vive di buoni propositi e non campa d’aria. Come un operaio pretende uno stipendio che lo aiuti a mantenersi.
Più che da zero a mito, Oscar è il prototipo dell’italiano medio: da povero a piccolo borghese. C’è tuttavia la volontà di mantenere le proprie radici, che lo portano ad abitare nuovamente la vecchia casa con la fidanzata dell’infanzia, diventata poi prostituta. Anche questo amore, come molte altri parti del film, sono affrontate con una sorta di crudo realismo e con un’ironia tipica di noi italiani. Non è sempre rosa e fiori, ma andiamo avanti e vediamo cosa succede.
Insomma, odiamo tanto il nostro retaggio, così come il nostro paese, tanto da riscoprirlo e da ritornarci subito non appena si sente un po’ la mancanza. Vogliamo così tanto cambiare che poi si ritorna sempre al punto di partenza. Stessa cosa si può dire della figura materna: rompi scatole onnipresente che non vediamo l’ora di mollare. Successivamente ritorniamo sempre da lei a reclamare una carezza o un piatto di pasta. Il fatto è che, soprattutto noi italiani, siamo schiavi di una lamentela che ci aiuta a vivere e a scaricare la tensione.
Il supereroe non agisce, ma fluttua
Germano è sempre sul pezzo. Il film ci permette di notare una cosa molto interessante. Bonfanti non racconta la storia di uomo che vola: sarebbe forse uno degli esseri più imbattibili del mondo. Volando potrebbe togliersi di dosso l’alone di provincialismo e povertà che porta addosso. L’eroe di Bonfanti, invece, si alza da terra, ma fluttua senza un vero e proprio controllo. Sbattuto da una parte all’altra, è più un essere inerme piuttosto che difeso e agguerrito. Come la maggior parte degli esseri umani che camminano su questa terra, non ha certezze e affronta senza veri poteri la realtà.
Purtroppo l’opera di Bonfanti non ci permette di studiare con attenzione il vero sentimento profondo di Oscar. Anche dal punto di vista psicologico, non vediamo altro che una specie di burattino in balia dell’ambiente dov’è posto, ma nient’altro. Di lui ci arriva solo il fatto che un super potere non è più uno stratagemma per essere famosi e per aiutare. Diventa, invece, quasi una maledizione che non ci permette di essere normali, tranquilli e mediocri. Perché è proprio questo che il film probabilmente vuole comunicare. Cioè che anche noi, così come Oscar, cerchiamo una stabilità sul piano sia economico che sentimentale, costante, tranquilla e senza troppe prospettive.
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