Mai come in questo momento sentiamo l’irrefrenabile voglia di vivere. La stessa volontà che guida il personaggio di Pasquale Frafuso nel film di Lina Wertmuller, Pasqualino Settebellezze. Con Giancarlo Giannini, Elena Fiore, Fernando Rey, Shirley Stoler e Roberto Herlitzka.
Primo Oscar, alla carriera quello accettato dalla regista italiana, dopo non aver vinto quello come miglior film straniero nel 1975. Pasqualino Settebellezze resta comunque il capolavoro di Wertmuller. A distanza di anni è ancora una pellicola tragica che si lega perfettamente con la realtà più moderna.
Mediante la storia di questo povero guappo napoletano, la regista descrive Napoli, l’epoca fascista, la guerra e la follia umana rappresentata dai campi di sterminio. Con le musiche di Enzo Jannacci non manca un dolce accompagnamento di cultura contemporanea. Il finale, è un rimando alla Napoli Milionaria di Edoardo, alla grande ansia che l’uomo nutre nei confronti della vita e della sopravvivenza ad ogni costo.
La trama di Pasqualino Settebellezze – Wetmuller dirige ancora Giancarlo Giannini
Pasquale Frafuso, meglio noto come Pasqualino “settebellezze”, è un soldato che, dopo essere scappato da un treno diretto al fronte, assieme a Francesco, un soldato del Nord Italia, cerca di tornare indietro passando per la Germania. Braccati dalle SS vengono deportati in un campo di sterminio che ha tutta l’aria di un’ex fabbrica militare.
Nel caos di quella follia, Pasquale rammenta il suo passato da guappo in carriera fra i vicoli di Napoli e le cause che lo hanno portato in quel luogo di morte e terrore. Dopo essere stato disonorato da un tale che aveva fatto di sua sorella maggiore Concetta una prostituta, Pasqualino è costretto a rimediare. Uccide l’uomo, ma per un errore di calcolo il suo gesto non passa per delitto d’onore, bensì per un efferato omicidio e tutti lo additano come il Mostro di Napoli.
Arrestato, Pasqualino confessa tutto, ma subito dopo si finge pazzo per avere l’infermità mentale ed evitare la condanna a morte. Messo in un ospedale criminale, stupra una paziente dell’istituto e non potendolo tenerlo lì, lo fanno arruolare e spedire in guerra. Dopo il suo arrivo nel campo di lavoro, capisce che senza un po’ di inventiva non potrà mai uscire vivo da lì.
Usa tutte le sue abilità di donnaiolo per addolcire il cuore di una mastodontica e terribile guardiana nazista la quale conosce bene le intenzioni dell’italiano. Tuttavia sta al gioco. Se Pasqualino riuscirà a soddisfarla sessualmente, avrà un posto di privilegio in quel mattatoio. L’uomo, nonostante le instabili condizioni fisiche, riesce ad avere salva la vita ma ad un prezzo ancora più salato. Diventato un kapò, è costretto ad eliminare molti dei suoi compagni, persino Pedro, un anarchico spagnolo, e lo stesso Francesco.
Tornato a Napoli, Pasqualino è un uomo completamente cambiato. In mezzo ai suoi familiari, che non hanno vissuto quello che ha vissuto lui e non lo comprendono fino in fondo, capisce che la sua vita non sarà più la stessa. Tuttavia non può far altro che tirare avanti.
Il “tira a campà” e la descrizione l’uomo nelle sue forme più basse
“In Parigi c’era un greco che faceva amore con una oca. Faceva questo lavoro per mangiare. Per vivere”. Il film è diviso in due parti. Il presente, rappresentato dal suo soggiorno nel campo di sterminio e il suo coinvolgimento nella barbarie naziste. E il passato che lo vede prima guappo spensierato, poi assassino, carcerato e infine soldato.
Sono molte le cose che ricorrono nella trama e nella vita di Pasquale. La sua ossessione per le donne. Unico maschio in una famiglia di donne, nutre per loro un duplice sentimento. Quello materno e del gentiluomo, e poi quello puramente sessuale, che lo porta a violentare una paziente del manicomio.
Ma tutto il film è collegato dall’altra ossessione, quella per la vita. Per vivere Pasqualino farà di tutto: si finge pazzo, ruba il cibo ad una povera vecchia e infine fa le scarpe alla guardia carceraria per un po’ di cibo. Passerà sopra anche ai tanti prigionieri nella sua stessa situazione. Ucciderà persino l’amico Francesco pur di tornarsene a Napoli.
La scena in cui Pasquale si finge innamorato della guardiana nazista, è forse una delle scene più emblematiche del film e di tutto il cinema. Quanto può cadere in basso l’uomo quando non può far altro che supplicare? Le parole di Hilde, la nazista, descrivono in pieno la natura di Pasquale: uomo e italiano. Carnefice e vittima, ora, sono una cosa sola. Uno segue l’ideale, l’altro la salvezza.
Pasqualino Settebellezze, interpretato da un Giancarlo Giannini in stato di grazia, è un anti eroe che non potendo affrontare la vita in maniera dignitosa, perché è un grande vigliacco, fa di tutto pur di vivere. Dal pubblico, specialmente quello italiano, non è disprezzato perché fa tutto parte di un attento resoconto di ciò che in realtà è l’essere umano con i suoi difetti e le sue colpe. Lina Wertmuller dà un’idea esatta degli orrori della guerra, quello che hanno scatenato e che hanno permesso di fare.
“Tira a campà“, queste sono le parole di Jannacci che decorano e chiudono la pellicola. Perché è proprio vero, nonostante il dramma scatenato e vissuto dall’uomo con le due guerre mondiali, c’è pur sempre un motivetto che ci obbliga a vivere e a lasciar perdere. Con la voglia di vivere e sopravvivere, alla fine c’è la voglia amara di ricominciare e dimenticare.
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