La classe operaia va in paradiso è un classico del cinema italiano. Diretto da Elio Petri nel 1971, racconta la storia di Ludovico Massa, detto Lulù, un operaio impiegato a cottimo presso la fabbrica B.A.N., dove in quindici anni di lavoro ha dovuto affrontare due intossicazioni di vernice e un’ulcera.
Lulù è l’operaio che ogni industriale vorrebbe vedere all’interno del proprio stabilimento. Interpretato da Gian Maria Volonté, Massa si adegua al cottimo e lavora a ritmi insostenibili per gli altri operai della fabbrica. Odiato dai colleghi, costretti ad essere valutati in base ai suoi ritmi, Lulù, quando torna a casa, sembra non riuscire ad uscire dallo stato di trance in cui vegeta tutto il giorno davanti alla macchina.
Tra gli operai il malumore per il cottimo viene gestito dai sindacati che richiamano all’unione dei lavoratori per contrattare miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Fuori dalla fabbrica, nel frattempo, prima che gli operai entrino nello stabilimento, degli studenti esortano i lavoratori a un vero e proprio sciopero ad oltranza, avanzando richieste estreme. Quando Lulù, per non rallentare la produzione, perderà un dito si troverà a dover fare i conti con la sua vita da operaio a cottimo.
Gian Maria Volonté riesce a trasmettere, con la sua interpretazione, tutta l’alienazione che il lavoro in fabbrica produce nelle espressioni vuote di Lulù. Massa, pur di portare a casa sempre maggior quantità di denaro, non si fa problemi a lavorare sempre più intensamente, senza nessun riguardo per la propria salute, sia fisica che mentale.
La sua casa è piena di beni di consumo comprati con i soldi guadagnati dal cottimo. Lulù è infatti il migliore: grazie alla sua capacità produttiva riesce a mantenere due famiglie e a riempire la propria casa di bene di consumo, spesso inutili e superflui. L’incidente però lo porta a riflettere e a cambiare prospettiva, avvicinandosi agli ambienti estremisti della lotta studentesca.
La classe operaia va in paradiso racconta uno spaccato di storia italiana, condensato nelle vicende personali di Ludovico Massa. Elio Petri mette in scena le spaccature insite nella sinistra italiana del tempo e persino nella stessa classe operaia. Questa infatti viene spesso identificata come un blocco unico e monolitico, ma è invece composta da uomini e donne che hanno idee e aspirazioni differenti.
La riflessione portata avanti dal film è però più squisitamente politica. I due schieramenti in lotta per aggiudicarsi il favore degli operai sono due diversi modo di intendere la lotta politica di classe: da una parte la frangia estremista e massimalista, disposta a sacrificare il singolo sull’altare del benessere di classe; dall’altra parte le forze riformiste rappresentate dai tre sindacati uniti, che rappresentano quelle spinte più moderate che mirano ad ottenere miglioramenti graduali per gli operai attraverso la contrattazione e il dialogo con la classe dirigente.
L’agone politico è però popolato dai più vari interessi. Le manifestazioni delle frange più estreme vengono persino considerate, dagli stessi operai, come opera degli stessi dirigenti della fabbrica, intenzionati a dividere e frammentare la solidità del blocco dei lavoratori. Allo stesso modo, i sindacati vengono visti dagli studenti come servi del potere, intenzionati solamente a conservare il proprio ruolo di guida. In mezzo, i lavoratori continuano la loro vita alienata e alienante, ronzando per ore intorno a macchinari capaci di mutilarli e di ucciderli.
Sono proprio gli operai della catena di montaggio a dare un senso a tutto il film. Sono loro infatti che devono arrivare infine ad un compromesso: quanto vale la loro vita? quanto vale la loro salute, sia fisica che mentale?
Elio Petri non sembra suggerire la strada da intraprendere per veder sorgere il sol dell’avvenire, ma instilla dubbi e riflessioni sull’intero sistema di produzione industriale e sulle contraddizioni insite nella stessa classe operaia agli albori degli anni Settanta.
La classe operaia va in paradiso è la rappresentazione di un variegato fermento politico e sociale, che partiva dalla difesa della classe operaia fino ad arrivare ad astratte elaborazioni teoriche lontane dalla quotidianità dell’uomo comune. Lulù, come i suoi colleghi, non lascia mai la fabbrica, nemmeno quando torna a casa. La frenetica produzione a cottimo si trascina fino in camera da letto, facendo giustamente chiedersi “ma è vita questa?”
Nessuno sembra avere delle risposte sicure. Da un lato la lotta ad oltranza con l’incubo della disoccupazione e dall’altro il compromesso che prova a strappare migliori condizioni di lavoro e di paga. La vita alienante della catena di montaggio riprende però uguale il suo corso.
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