Il momento che separa la vita dalla morte ha sempre esercitato un grande fascino sulla fantasia degli uomini. L’ignoto che rappresenta il passaggio verso la morte ha dato origine a credi religiosi, filosofie, riflessioni e concetti filosofici che nei secoli hanno permesso all’uomo di affrontarlo. Con la nascita di discipline scientifiche di sempre maggior precisione e rigore anche la morte ritorna sotto la lente d’ingrandimento dell’uomo. Così, in Flatliners, film del 2017 diretto da Niels Arden Oplev, remake dell’omonimo film del 1990 diretto da Joel Schumacher, un gruppo di cinque studenti di medicina decide di osservare e documentare, a livello neurologico, il momento che intercorre tra la vita e la morte.
Courtney e i suoi colleghi si sottopongono volontariamente e a turno ad un esperimento altamente rischioso: al paziente viene indotta la morte così da poterne registrare l’attività celebrale in quel dato momento, per poi essere rianimato un minuto dopo attraverso la procedura d’emergenza.
La scoperta che il gruppo fa è a dir poco sensazionale. Nel breve periodo tra la vita e la morte, il paziente rielabora non solo la propria vita. L’attività cerebrale è intensa, soprattutto in aree specifiche della corteccia. Per quanto inizialmente molto debilitante, il procedimento si rivela incredibilmente tonificante.
Courtney, la prima a sottoporsi a questo esperimento, il giorno dopo riesce a ricordarsi qualsiasi cosa abbia appreso o visto nel corso della sua vita. La sua performance in ospedale, davanti al professore responsabile della loro specializzazione, convincerà anche gli altri suoi colleghi a morire per un po’.
Le maggiori capacità cerebrali però portano con se anche degli svantaggi. I tormenti sopiti negli anni e annacquati nei ricordi tornano ora alla luce con maggiore vigore e una disturbante concretezza.
In Flatliners, oltre che una sufficiente tensione da horror psicologico, viene messa sul piatto anche una interessante riflessione sulla capacità degli essere umani di dimenticarsi facilmente del dolore e delle sofferenze causate. Non sempre, negli anni, si riesce a tenere un comportamento impeccabile, ma si potrebbe vivere meglio la proprio vita affrontando le nostre debolezze e le nostre meschinità piuttosto che aspettare che il senso di colpa e i rimorsi tornino a divorare le ultime briciole della nostra anima.
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