Alice nel paese delle meraviglie – Controcultura ed Inghilterra Vittoriana

Cheshire Car : If I were looking for a white rabbit, I’d ask the Mad Hatter.
Alice : The Mad Hatter? Oh, no no no…
Cheshire Cat : Or, you could ask the March Hare, in that direction.
Alice : Oh, thank you. I think I’ll see him…
Cheshire Cat : Of course, he’s mad, too.
Alice : But I don’t want to go among mad people.
Cheshire Cat : Oh, you can’t help that. Most everyone’s mad here.
[laughs maniacally; starts to disappear]
Cheshire Cat : You may have noticed that I’m not all there myself.

Alice, in un modo o nell’altro, è una figura presente nell’immaginario di tutti. Il personaggio creato da Lewis Carroll nel 1865 ruppe molti canoni letterari dell’epoca, diventando uno dei capolavori della letteratura britannica. Alice nel paese delle meraviglie, uscito nel 1951, è probabilmente il più famoso adattamento del romanzo britannico. La pellicola unisce, in realtà, due libri di Carroll: Alice in Wonderland e Through the Looking Glass, uscito nel 1871.

Il film venne prodotto da Walt Disney e diretto da Clyde Geronimi, Wilfred Jackson ed Hamilton Luske.

I primi riferimenti al mondo di Alice nel panorama Disney risalgono ad un cortometraggio d’animazione con protagonista Topolino, intitolato Thru the Mirror. In una scena del corto, Topolino si addormenta e nel letto si può facilmente scorgere il libro di Carroll, Through  the Looking Glass. Il protagonista poi si imbarca in avventure che contengono molti elementi caratteristici del magico mondo creato dall’autore britannico.

Walt Disney, fin da bambino interessato all’opera di Carroll, nel 1938 aveva registrato il titolo per farne un film d’animazione. Con molti progetti in corso, tra tutti Pinocchio, Fantasia e Bambi, la produzione del film venne accantonata. Dopo la fine della seconda guerra mondiale e il successo di Biancaneve, Walt Disney decise di rimettersi sull’opera tanto agognata.

L’idea di iniziale fu quella di creare un film live-action con attori in carne ed ossa che avrebbero interagito con delle animazioni, nello stile in cui sarà girato Who Framed Roger Rabbit (Chi ha incastrato Roger Rabbit). L’ispirazione veniva da una serie di corti muti che Disney aveva girato alla fine degli anni 20 chiamati Alice Comedies. Disney decise però che l’unico modo per rendere giustizia all’opera originale fosse quello di girare un film d’animazione vero e proprio. Nel 1947 ricomprò i diritti di entrambi i romanzi dalla Paramount (che nel 1933 aveva fatto uscire il proprio adattamento live-action) e iniziò la produzione del film che uscì nelle sale nel 1951.

Per il ruolo di Alice, fu scelta l’attrice Kathryn Beaumont. La Beaumont continuerà a lavorare con Disney dando la voce a Wendy in Peter Pan. L’attrice britannica aveva solamente dieci anni all’epoca dell’inizio delle registrazioni e fu scelta da Disney perché secondo lui aveva una voce che avrebbe avuto appeal sia sugli spettatori inglesi che su quelli americani. Gli animatori del film presero spunto dalle fattezze dei doppiatori per disegnare i personaggi presenti nel film. Infatti, prima di passare ai disegni, i voice actors dovevano recitare ogni scena per rendere d’impatto la propria prestazione. Gli animatori così disegnarono le fattezze di Alice, seguendo come modello la Beaumont. Il cappellaio matto prese i contorni del suo voice actor, il comico Ed Wynn.

La produzione del film si sovrappose con quella di un altro film della Disney, Cenerentola. Tra gli animatori dei due film iniziò una gara a chi avrebbe finito prima e con il miglior risultato. Cenerentola uscì un anno prima, nel 1950, e fu un successo istantaneo sia di critica che di botteghino. Per Alice nel paese delle meraviglie, invece, il successo prese sicuramente forme diverse.

Il film è un’ orgia di colori, animazioni e musica che s’intrecciano tra di loro.  La storia, così come il lavoro originale di Carroll, è un perfetto esempio di nonsense. Una dopo l’altra, le pazze scene in Alice si susseguono come in un sogno allucinato il cui inizio, svolgimento e fine sono avvolti da un’aura di surrealismo.

Una delle motivazioni che portarono a tale risultato finale fu la competizione che vide protagonisti gli animatori. Ogni gruppo di lavoro cercava di far diventare la propria scena più pazza ed esagerata delle altre. Il risultato è il meraviglioso trip in technicolor che ci hanno regalato, che più di 70 anni dopo rimane ancora una visione spettacolare, un Lynch ante litteram. Non stupisce il successo che il film ebbe sulla controcultura statunitense post-68.

All’uscita la critica non fu generosa. Alcuni accusarono Disney di aver “americanizzato” un classico british, facendo diventare Alice un’opera adatta alle famiglie. Interessante critica che viene tuttora mossa all’impero multimediale quando si tratta di adattare per il grande schermo i fumetti Marvel. Lo stesso Disney non fu contento del risultato. Egli disse che la pellicola mancava di quel “cuore” che doveva essere parte integrante dei film della Casa di Topolino. A parer suo il film era ancora troppo freddo ed intellettuale per ottenere il successo sperato.  

Il film registrò una perdita di un milione di dollari, guadagnando soltanto tre milioni al botteghino. Finchè Disney fu in vita, l’opera non vide alcun tipo di successo. Egli arrivò fino a dire di non aver avuto alcun coinvolgimento nella lavorazione dell’opera. Guardando alle cifre, fu tanta la speculazione sul futuro della Disney se non fosse stato per l’enorme successo del film precedente, ovvero Cenerentola. Si disse che l’insuccesso di Alice nel paese delle meraviglie avrebbe potuto portare alla bancarotta dell’azienda americana.

Fu con il diffondersi della televisione nelle case di tutti gli americani che Alice divenne popolare, registrando ascolti mai visti. Il film fu la prima opera Disney ad andare in onda sul nuovo medium che iniziò a spopolare negli anni 50. Fu solo con il dilagare del fascino della controcultura che, però, Alice nel paese delle meraviglie raggiunse lo status di cult. Come testimoniato in un clamoroso articolo del New York Times, il film ottenne per la prima volta una re-release al cinema nel 1974. Infatti, in tantissime college town statunitensi il film era da mesi al numero 1, riuscendo a fare soldout ad ogni programmazione. Le case delle confraternite ed i cinema universitari, inondati da coltri di fumo, diedero all’opera un vita nuova vedendo in essa uno sconfinato simbolismo psichedelico.  

Già nel 1971 il film Fantasia raggiunse un’ audience inaspettata e la Disney iniziò una campagna pubblicitaria con un poster psichedelico intitolato The Ultimate Experience. Fu in quell’anno che la decisione di rilasciare nuovamente Alice nei cinema fu presa. La campagna pubblicitaria fatta in radio prendeva in prestito il celebre testo di White Rabbit dei Jefferson Airplane. La canzone, scritta dalla cantante Grace Slick nel 1965, riprendeva molti dei contenuti presenti nell’opera di Carroll. La musica, combinata con il testo, suggeriva un viaggio allucinogeno accompagnato dai personaggi creati dallo scrittore britannico . Secondo la cantante il White Rabbit del titolo rappresentava la curiosità e volontà di provare nuove esperienze. Un viaggio alla ricerca del proprio coniglio bianco.

Anche il poster utilizzato per promuovere l’uscita del 1974 conteneva chiari rimandi psichedelici, con il suo intreccio di colori blu, viola e rossi. Alice, seduta su un fungo gigante, guarda con occhi sognanti il Cappellaio Matto che le versa una bevanda di colore viola che dovrebbe essere tè ma non lo sebra.

Il poster del 1974

La canzone dei Jefferson Airplanes rende perfettamente l’idea del viaggio incessante e surreale a cui Alice va incontro. La parte usata dalla Disney così recitava:

One pill makes you larger, and one pill makes you small
And the ones that mother gives you, don’t do anything at all
Go ask Alice, when she’s ten feet tall

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