Siamo nel 2002 e il regista afroamericano Spike Lee decide di trasportare sul grande schermo La 25ª ora, tratto dall’omonimo romanzo di David Benioff.
Il regista, a differenza del libro, sceglie di contestualizzare la vicenda dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Scelta fatta, probabilmente, anche per restituire più drammaticità agli eventi. Il risultato è davvero qualcosa di sorprendente. Sicuramente tra i migliori lavori di Lee. Il film, presentato in concorso al Festival di Berlino, è anche tra i più importanti prodotti cinematografici post 11 settembre: è infatti la prima vera reazione all’accaduto da parte di un regista americano. La prima pellicola ambientata a New York subito dopo il disastro ed è stata anche la prima in assoluto a mostrare il Ground Zero. Come in tutti i film del regista, la città è parte centrale del racconto e forse l’unica vera protagonista.
Ma veniamo alla trama. La storia è quella di Monthy Brogan, interpretato da un sempre calato nella parte Edward Norton. Malavitoso, specializzato nello spaccio di droga. Il pubblico lo conosce a “fine carriera”. Infatti il nostro protagonista è condannato a sette anni di prigione, dopo che la polizia, durante un’irruzione nel suo appartamento, troverà nell’imbottitura del divano un chilo di eroina e svariati soldi in contanti.
Ed è da qui che ha inizio la storia: le ultime 24 ore (più una, ma non posso svelarvi di più!) del protagonista, prima di entrare in prigione. Monthy Brogan infatti si troverà costretto a risolvere il più velocemente possibile affari in sospeso con malavitosi e scagnozzi, e a chiarire i difficili rapporti con il padre (Brian Cox), con gli amici più stretti (interpretati dal compianto Philip Seymour Hoffman e Barry Pepper) e con l’amatissima compagna (Rosario Dawson), sospettata tra l’altro di essere stata la responsabile della soffiata alla polizia.
A fare da sfondo all’ultima giornata del protagonista da uomo libero sono i traumi di una città devastata dalla vicenda dell’attacco alle Torri Gemelle. È la prima volta che gli Stati Uniti vengono attaccati in casa loro, e nel cuore della città più amata in assoluto: New York.
Metaforicamente, l’attentato terroristico possiamo paragonarlo ad una scena di un film: il taglio dell’occhio di Luis Buñuel in Un cane andaluso, ovvero la fine di un sogno, nel nostro caso la fine del sogno americano. I cittadini non credono più a niente, tanto meno alle istituzioni, e le domande che si pongono sono molte. Chi sono i veri nemici? Con chi ce la dobbiamo prendere per il disastro avvenuto? Siamo davvero la grande nazione di cui tutti parlano e a cui molti aspirano? Beh, probabilmente no, e il celebre monologo di Norton in cui si specchia e condanna tutta la città di avere colpe e responsabilità ne è la prova.
E così, in una ricerca disperata di presunti colpevoli, il nostro protagonista (come del resto l’intero paese) dovrà presto accettare che forse l’unico ad avere una colpa è soltanto lui stesso, e che la maggior parte delle volte, prima di puntare il dito, di giudicare e di colpevolizzare, sarà meglio guardarsi allo specchio.
In conclusione possiamo dire che La 25ª ora è una meravigliosa metafora e riflessione sulla coscienza americana.
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