Robin Hood è un film del 1973 ed è il primo classico Disney prodotto dopo la scomparsa di Walt Disney, avvenuta nel 1966. È evidente che gli studios fossero già in grado di camminare con le proprie gambe, dato che l’opera riuscì a riscuotere un ottimo successo. Ancora oggi cattura sia i nostalgici che le nuove generazioni, tanto che la Disney sta lavorando al remake in live-action per la piattaforma streaming Disney+.
La storia riprende un personaggio appartenente alla tradizione folkloristica britannica. Alcuni storici sostengono sia realmente esistito durante il Medioevo, o che sia almeno il frutto di una condensazione di diverse personalità di quell’epoca. Il progetto iniziale in verità era incentrato su un altro protagonista, Renart la Volpe, preso in prestito da alcuni racconti di fantasia del Medioevo francese. Tuttavia Walt Disney rifiutò il progetto, vedendo la figura di Renart poco adatta per il ruolo di protagonista. Così affidò allo sceneggiatore e disegnatore Ken Anderson il compito di trovare una nuova idea. Da qui nacque Robin Hood.
Il lungometraggio si apre tra le note del Cantagallo che introduce i personaggi che andranno ad animare la storia: da un lato l’astuto e abile ladro Robin Hood con il suo leale compagno Little John, i quali lottano contro le ingiustizie sociali, “rubando ai ricchi per dare ai poveri“, come recita la nota formula; dall’altro lato c’è il principe Giovanni, un leone senza criniera che ha usurpato il trono d’Inghilterra e ora lo governa con l’aiuto del viscido consigliere Biss. L’altro antagonista è lo sceriffo di Nottingham, un lupo feroce che su ordine di Giovanni estorce i soldi delle tasse alla popolazione, in particolare ai più bisognosi, i quali riescono a sopravvivere grazie agli aiuti di Robin Hood. A queste vicende si aggiunge la storia d’amore tra il protagonista e Lady Marian.
Nel film ogni classe sociale è rappresentata da almeno un personaggio. Il fatto che lo sfondo sia il Medioevo non crea una grande distanza tra noi e la narrazione, dato che il rapporto cruciale dello schiavo-padrone, che è il centro di Robin Hood, resta intatto in ogni epoca, quasi fosse uno specchio che la Storia reca con sé ad ogni suo passo e che non è possibile frantumare.
Così, partendo dall’alto della piramide e scendendo, abbiamo: il ricchissimo principe Giovanni, che mira solo ad accumulare più ricchezze di quante già ne ha; il consigliere Biss con la sua vigliaccheria, che gli è utilissima a conservare l’alta carica raggiunta; lo sceriffo e i soldati del re, dei quali è messa in risalto l’ottusità; infine le povere famiglie che si dannano l’anima per riuscire a sopravvivere. Se queste alla fine ci riescono è solo grazie alle azioni tanto illegali quanto giuste di Robin Hood e grazie alla carità di Fra Tuck.
Proprio quest’ultimo è un personaggio estremamente positivo, che percorre una via simile a quella del nostro protagonista, almeno per le premesse che entrambi condividono. E la dice lunga il breve dialogo tra l’uomo di chiesa e lo sceriffo, quando quello gli grida: “brutta canaglia di un ladro”, e il lupo risponde ignaro: “io faccio solo il mio dovere“. È la stessa frase che i soldati nazisti pronunciavano per difendersi in tribunale, e il paragone non è affatto esagerato ma anzi attuale e calzante, considerando che tra un uomo che ne condanna un altro al campo di concentramento e uno che lo condanna a morire di fame per questioni economiche l’unica grande differenza è che la morte della vittima accadrà lontano dagli occhi del carnefice. Così la colpa viene allontanata, ma niente affatto eliminata.
Per questi e altri motivi, Robin Hood è probabilmente il più politico tra tutti i lungometraggi della Disney. Di personaggi che vivono e affrontano una situazione di povertà ne abbiamo incontrati tra i vari classici, ma Robin Hood è completamente incentrato sul tema delle ingiustizie economiche e umane che ogni epoca proroga attraverso una cinica amministrazione della ricchezza. Un aspetto significativo risiede quindi nel coraggio del film. Sarebbe stato più semplice per la Disney non esporsi troppo e raccontare una storia più leggera; invece la produzione, forse per l’epoca in cui venne ideato Robin Hood (siamo agli inizi degli anni ’70, momento in cui tutte le verità assolute erano ancora messe tra parentesi), ha optato per questo tipo di storia.
E, ripetiamolo, ad aprire il film c’è proprio l’emblema della rivolta contro il potere costituito, ovvero il Cantagallo, un cantautore squattrinato ma con tanta voglia di declamare in versi le verità scomode, mettendosi dalla parte del più debole.
Seguendo questa linea di pensiero, non sembrerebbe troppo ardito provare ad abbinare al significato del film gli splendidi versi del poeta De André:
C’hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane.
Ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Queste parole riassumono perfettamente le intenzioni di Robin Hood e Little John, che sono disposti ad andare contro ogni dura legge mettendo a repentaglio le loro vite pur di affermare il proprio ideale di giustizia sociale. La loro personale etica ha superato le barriere opache del potere e ha dato una nuova fiducia a tutti coloro che neanche immaginavano si potesse continuare a sperare.
Per questa sua vena anarchica verrebbe da vedere il film come se fosse un’opera di Elio Petri in miniatura. Tra l’altro proprio nello stesso anno usciva in Italia uno dei suoi capolavori, La proprietà non è più un furto.
Ma non staremmo esagerando con tutti questi paragoni? Sì e no. Da un lato è realmente da apprezzare il tentativo della Disney di mettere in scena questo tipo di discorso, destinandolo perlopiù a bambini. Una storia fatta di stereotipi a buon mercato sarebbe stata un successo senza dubbi. D’altro canto avvicinare questo film alle rime di De André o all’occhio di Petri equivale a fare un torto a questi due maestri di vita. Ciononostante l’accostamento ci aiuta a vedere quanta distanza separa queste opere. E ahimè, la distanza è siderale. Basta ricordare ciò che segue: numerosissime generazioni sono state educate dai classici Disney e nel particolare Robin Hood ha lasciato un segno.
Ma questa educazione è servita a qualcosa? La maggior parte di coloro che hanno visto e amato Robin Hood non saranno con ciò disposti a prendere alla lettera quei versi di De André, così rivoluzionari eppure così vicini all’idea generale del film. Il bambino parcheggiato davanti alla TV, lasciato lì a vedere film d’animazione, non ha certo sviluppato in questo modo una coscienza critica. E fin qui nulla di estremamente strano, giacché non si dovrebbe sprecare la propria infanzia a riflettere sui problemi del mondo. Il punto però è che prodotti di questo genere, abituandoci fin da subito alla trasfigurazione di grandi e pesanti verità in situazioni di intrattenimento, abituandoci cioè all’industria della retorica, non attecchiranno mai davvero, malgrado la bontà dei loro contenuti; e la traccia che lasceranno a chi li guarda, siano essi adulti o bambini, sarà solo un cumulo di fotogrammi colorati svuotati di senso.
Ma senza portare troppo avanti un discorso che richiederebbe molto più tempo e molte più argomentazioni, possiamo sintetizzare il tutto dicendo che un’opera concepita in perfetta simbiosi con la cultura di massa, sebbene abbia un significato controcorrente, non può realizzare grandi progetti. Bisogna tener fermo il fatto che ogni film Disney è creato con lo scopo supremo di incrementare i propri profitti. Tutte le altre esigenze cadono se non si accordano con ciò.
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