Non ho mai capito perché Taron e la pentola magica -il titolo originale è The Black Cauldron– abbia sempre occupato un posto di secondo livello nel vasto panorama Disney. Come recluso nel lato oscuro dei film d’animazione, l’opera del 1985 occupa il venticinquesimo posto nella lista dei Classici Disney. Diretto da Ted Berman e Richard Rich, che ne trassero ispirazione da Le Cronache di Prydain, una serie di romanzi scritti da Loyd Alexander.
La trama di Taron e la pentola magica (The Black Couldron)
“Nella leggenderia terra dei Predei, vi era un tempo un re così crudele che perfino gli dei lo temevano“. Taron, giovane aiutante tuttofare al servizio del vecchio Dellban, il guardiano di maiali, non vede l’ora di recuperare la prestigiosa pentola magica e diventare un potente cavaliere. Un giorno, la sua affezionata maialina Ewy, viene rapita dal perfido Re Cornelius che, dati i poteri di oracolo dell’animale, vuole usarla per trovare la pentola e adempiere al suo sogno: essere indistruttibile. Taron riesce a recuperare il maialino entrando nel castello del re, e una volta lì libera anche la giovane Ailin, prigioniera del re, e il simpatico vagabondo Gurghi, con i quali si avvia alla ricerca della pentola.
Troveranno il portentoso calderone grazie a tre streghe che, in cambio della sua spada, diranno a Taron come impossessarsi del potere della pentola. Quindi non gli resta altro da fare che tornare al castello di Re Cornelius e saldare i conti una volta e per sempre.
Taron e la pentola magica non è sempre riuscito ad acquisire una buona reputazione. E questo è in parte dovuto alla sua realizzazione estetica che non ha niente a che vedere con i classici precedenti. Il film, infatti, apporta all’universo Disney un aura gotica e terrificante che ancora oggi desta inquietudine. Inquietante per i standard precedenti che, prima di arrivare al troppo politicamente corretto di oggi, calca la mano optando per una narrazione tetra e oscura.
Forse è per questo motivo che tale film, in particolar modo, è anche uno dei miei preferiti. Perché rappresenta proprio il momento di maggiore fantasia e libertà dei cartoni animati, specie quelli Disney. Ora è tutto troppo infantile, buono per forza e protetto da quelle tematiche più serie e diciamo anche crude che fanno parte del nostro mondo. Le stesse tematiche che un bambino prima o poi dovrà affrontare.
Ecco perché Taron può essere definito come un perfetto classico Disney scheggia denti: usando le parole di Luigi dei The Pills. Perché è ancora un film che fa parte di un universo molto più rivoluzionario dei cartoni animati. Poi, con il tempo, e malgrado le trame squisite e ben agghindate, sono arrivati i reazionari.
Degni di nota restano i doppiatori: e con questo mi riferisco alle voci originali. La parte del narratore della storia, quindi la voce centrale del film, fu affidata al grande regista, attore, scenografo e quindi anche doppiatore, John Huston. Nella parte di Re Cornelius non poteva mancare l’indimenticabile John Hurt (l’Olivander di Harry Potter, l’astronauta Kane in Alien e Joseph Merrick in The Elephant Man di David Lynch). Infine, Freddy Jones, nella parte di Dellby: altro straordinario caratterista inglese della cui filmografia si ricordano cult come The Elephant Man, E la nave va di Federico Fellini e Dune.
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