Quando Michael Moore parla, i poteri forti tremano. Lo si è visto con i primi documentari come The Big One e Bouwling for Columbine grazie al quale nel 2003 vince il premio Oscar come migliore documentario. Sulla scia di questi successi, nel 2004 esce Fahrenheit 9/11 e più che un semplice documentario è un’arringa ben strutturata e accorata che prende come bersaglio la politica di George W. Bush e l’attentato alle Torri Gemelle.
C’è una celebre scena interpretata dal mitico Leslie Nielsen nei panni del presidente degli Stati Uniti in Scary Movie 4 (2006), che riassume e sfotte apertamente il comportamento avuto dall’allora presidente degli Bush nel momento in cui fu avvertito dell’attacco terroristico al World Trade Center l’11 Settembre 2001. Durante una lettura della Favola della paperella il consigliere del presidente lo informa che gli alieni hanno appena attaccato il pianeta. Tuttavia il presidente non se ne cura e torna ad ascoltare la storia.
Questa scena apparentemente surreale che si vede nel film è esattamente cosa avenne quando a George Bush fu riferito degli attacchi alle torri gemelle. Bush infatti non si scompose e rimase ancora sette minuti in mezzo ai bambini come se nulla fosse. Lo sketch che si vede in Scary Movie è essenzialmente simile se non identico a quella nefasta vicenda.
– SIGNOR PRESIDENTE, HANNO GIÀ RASO AL SUOLO ALCUNE NOSTRE CITTÀ. SE NON FACCIAMO NULLA CI UCCIDERANNO TUTTI!
– HO CAPITO. POI CI PENSIAMO. SONO INTRIPPATO CON LA PAPERELLA, VOGLIO SAPERE COME VA A FINIRE!”
da Scary Movie 4 (2006)
Tuttavia non è di Scary Movie che stiamo parlando, ma del manifesto di un documentarista guerriero che, anche se contento e fiero di essere americano, non si dimentica mai di criticare il paese a stelle e strisce e di fare luce sugli oscuri avvenimenti e sui malcontenti che affliggono questa grande nazione. Fahrenheit 9/11, come suggerisce lo stesso titolo, si rifà al libro di Ray Bradbury, Fahrenheit 451, e il film omonimo di François Truffaut del 1966. Romanzo e pellicola ruotavano attorno al potere mediatico e a una fantapolitica oppressiva e autoritaria.
Il film di Moore trova delle astute connotazioni con queste due opere e non può fare a meno che riportarle nell’America dei primi anni Duemila. Un’America devastata da quello che può essere definito come l’anno zero dell’epoca moderna. L’11 settembre ha di fatto stravolto il nostro modo di vivere, di pensare e di viaggiare. In quel momento tutti gli occhi sono rivolti agli Stati Uniti, messi in ginocchio da un attacco terroristico di una portata enorme. Eppure, anche in questo cupo dramma, Moore vede che c’è qualcosa che non quadra e tenta di risalire la china per scoprire i misteri che si nascondono dietro a questa faccenda.
La trama di Fahrenheit 9/11 – “The temperature where freedom burns” (la temperatura a cui la libertà brucia)
Fahrenheit 9/11 inizia con la vittoria alle elezioni presidenziali di George W. Bush nel 2000: elezioni che, stando ad alcuni documenti, sarebbero state manipolate per favorire l’ascesa al potere di Bush Junior. Dopo l’attentato al World Trade Center il caso si infittisce e tutto si trasforma in una sorta di torbido thriller spionistico: quello che nemmeno il più geniale sceneggiatore di Hollywood sarebbe in grado di scrivere.
Si viene infatti a sapere che per circa un trentennio la potente famiglia Bush aveva avuto rapporti con governo statunitense e allo stesso tempo con la famiglia Bin Laden. Nei giorni che seguirono l’11 settembre, alcuni membri della famiglia Bin Laden residenti in America dovettero essere evacuati ma senza il benché minimo controllo o un straccio di indagine. Si passa poi ad altre incedibili scoperte: giochi di potere che porteranno alla guerra in Afghanistan e poi al conflitto in Iraq.
“The temperature at which books burn” (la temperatura a cui bruciano i libri) era la frase storica del romanzo di Bradbury. Moore, incisivo come sempre, di troppo e sempre in mezzo, cambia l’aforisma in “La temperatura a cui brucia la libertà”. Se pensiamo ancora all’America come al paese delle libertà e delle opportunità, si metterà le mani nei capelli dopo aver visto le opere del regista, in particolar modo questa.
Fahrenheit 9/11, tuttavia, non è che un puntino all’orizzonte nel vasto panorama dei film d’inchiesta. Nel 2018, infatti, era uscito Fahrenheit 11/9. Nel suo ultimo documentario Moore cercava di dare la sua versione della politica americana durante la presidenza Obama e subito dopo la vittoria di Donald Trump. Dopo la pandemia mondiale e stando alle ultime notizie che giungono ogni giorno da quell’immensa e orgogliosa nazione, Moore avrebbe del materiale per altri vent’anni.
Criticato da alcuni membri del governo di aver distorto in parte la realtà dei fatti. Fahrenheit 9/11 resta ad oggi il documentario con il più alto numero di incassi della storia. L’opera sociale di Michael Moore è dedicata ad un suo amico morto nell’attentato del 2001 e a tutte le vittime di quel tragico e indelebile momento storico che ha alterato la storia dell’essere umano.
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