C’erano una volta Elio Petri e Lina Wertmüller a raccontare in modo encomiabile la classe proletaria italiana. Film come La classe operaia va in paradiso e Mimì metallurgico ferito nell’onore, fra i tanti, hanno portato sul grande schermo la lotta sindacale, le ingiustizie subite dai proletari fino all’alienazione chapliniana dovuta al lavoro in fabbrica. Riccardo Milani raccoglie il testimone degli illustri predecessori menzionati per raccontare Il posto dell’anima (2003).
Il film vede come protagonisti Antonio (Silvio Orlando), Salvatore (Michele Placido) e Mario (Claudio Santamaria), tre operai di una fabbrica prossima alla chiusura. Essi si ribelleranno alla scelta della loro multinazionale di chiudere la filiale italiana, causando di conseguenza il licenziamento di centinaia di persone. Seguiranno numerose manifestazioni durante le quali verranno messi in luce anche i retroscena più intimi di Antonio, Salvatore e Mario.
Il primo è il più idealista dei tre. Antonio porta avanti le sue idee ad ogni costo, rinunciando persino ad andare a vivere a Milano con Nina (Paola Cortellesi), ex operaia che Antonio ama perdutamente. Salvatore è un vecchio combattente vicino alla pensione stanco e disilluso che sfoga la rabbia e la frustrazione sul figlio ventenne. Infine Mario è il più giovane del trio e, pur sostenendo la lotta sindacale, cerca impellentemente di trovare un nuovo lavoro per mandare avanti la famiglia.
Il regista di Come un gatto in tangenziale e Scusate se esisto non si limita a realizzare pedissequamente il classico film sugli operai. Il posto dell’anima infatti racconta in modo universale la realtà degli “ultimi”, ovvero tutte quelle persone che loro malgrado sono sistematicamente assoggettate ai potenti. Milani insiste molto sul rischio di ammalarsi di cancro in cui incorrono i personaggi del film, considerati per certi versi alla stregua delle bestie. La sequenza in cui un furente Orlando sputa in faccia ad un pezzo grosso della Car Air, la multinazionale per cui lavora, è da antologia. Ricorda infatti l’immarcescibile Alberto Sordi nel capolavoro di Dino Risi, Una vita difficile. Silvio Orlando, tramite il personaggio di Antonio si fa portavoce della ribellione. Ovvero, quella cosa che, citando il compianto scrittore britannico George Orwell, permette alle persone di divenire coscienti della propria forza.
L’attore napoletano offre un’interpretazione magistrale passando con grande disinvoltura da scene drammatiche ad altre in cui suggella la sua naturale vis comica. Placido dal canto suo è sublime nel dar vita ad un uomo di una certa età che non ha perso la voglia di combattere. L’attore foggiano si prodiga in una performance misurata e impetuosa allo stesso tempo. Santamaria invece con consumato talento offre un’interpretazione borderline che fa entrare lo spettatore completamente in sintonia con il personaggio.
Infine la poliedrica Paola Cortellesi tratteggia in modo esemplare una donna coraggiosa che, per salvaguardare la propria salute, ha rinunciato al lavoro in fabbrica andandosene altrove, allontanandosi così dal suo amore. Nina è l’emblema stesso della Forza, quella forza che le fa scegliere se stessa. Milani, con l’ausilio di Domenico Starnone in fase di sceneggiatura, riecheggia Ken Loach e ci fa comprendere che, nonostante tutte le umiliazioni subite e i compromessi a cui alcune volte si è costretti a sottostare, c’è un posto che non può e non deve essere contaminato per nessuna ragione al mondo: Il posto dell’anima.
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