La grande abbuffata, o La Grande Bouffe visto che il francese fa sempre sofisticato, è uno dei quei film la cui prima visione stravolge completamente la maniera di concepire il cinema. Il capolavoro di Marco Ferreri, noto prevaricatore della normalità e geniale regista d’avanguardia, stravolge anche il più normale uso di concepire la vita e il suo celato senso.
Difatti sembrerebbe proprio che la pellicola in questione un senso non ce l’abbia e molti preferiscono concentrarsi sull’interpretazione di quattro attori in stato di grazia e sulle buffe e alquanto grottesche vicende che si susseguono in una lussureggiante e lussuriosa villa parigina.
Eppure il regista smaschera quella normalità stantia e rarefatta. Egli sporca l’intellettualismo, violenta il buon costume, si prende gioco del garbo e in un tripudio di cibo, sesso, musica artefatta e certezze mette a nudo la Borghesia. E’ la borghesia ad essere nel mirino di Ferreri, e non si può affatto dire che non ci abbia provato in precedenza. Con il film del ’68, Dillinger è morto, cercava una fuga dal quotidiano corrotto. Quest’ultimo non sarebbe altro che la vita insoddisfatta di chi ha raggiunto il successo economico e con esso la noia di chi non ha più niente da scoprire. Una fuga che, tuttavia, finiva con un la presa di coscienza che da questo universo non si può uscire.
Con La grande abbuffata, invece, la fuga si trasforma in qualcosa di più decisivo e risoluto: un suicidio gastronomico. E il suicidio dei quattro amici, ognuno simbolo di una certa borghesia, avviene mediante la più normale ed essenziale abitudine, ossia il mangiare.
“Ho pensato a un menù incredibile. Un menù del cazzo”
La grande abbuffata (1973)
“Voglio fare un film fisiologico”, dice Ferreri subito dopo aver diretto La cagna. E La grande abbuffata rappresenta proprio il coronamento di questa necessità. Attraverso la normale abitudine del cibo il regista riesce, stavolta in maniera davvero profonda e invadente, a scandalizzare la massa. Dopo la prima a Cannes, la stessa massa già inneggiava allo scandalo e al rogo. Con il cibo si arriva all’eccesso e con un elogio all’edonismo più sfrenato si arriva ad un’animalesca visione del mondo.
La grande abbuffata – La trama
Come venne molte volte descritto questo indelebile capolavoro del 1973, La grande abbuffata è un harakiri gastronomico che si svolge nella Parigi dei primi anni settanta. C’è stato il ’68, è iniziata la guerra in Vietnam e l’uomo è andato sulla luna. Nella Parigi dov’è scoppiata la Rivoluzione Francese Ferreri ambienta la sua storia e da lì parte l’assurda, l’inequivocabile e anomala critica borghese. La stessa rivoluzione che portò allo sviluppo della società borghese.
Quattro amici, tutti di mezza età e tutti con una vita agiata, decidono di ritirarsi in una casa della periferia parigina e porre fine alle proprie esistenze. Esistenze che, come già detto prima, sono talmente arrivate e soddisfacenti da porre in loro un senso di profonda noia e tristezza. Ugo, il cuoco proprietario di un famoso ristorante. Philippe, il giudice che vive con la vecchia balia che lo soddisfa anche sessualmente. Marcello, il pilota dell’Alitalia con la mania per le donne. Infine Michel, un produttore televisivo divorziato e dalla celata omosessualità. Morire mangiando è il loro unico desiderio. Perciò Philippe, Michel e Marcello vengono ingozzati da Ugo che, non appena entra in casa, inizia subito a darsi da fare.
I primi giorni preferiscono avere con loro un po’ di compagnia femminile. Chiamano infatti alcune donne, prostitute amiche di Marcello, per non dover passare per forza il tempo soli. Fra loro c’è anche Andréa, una mastodontica e gaudente maestra di scuola elementare che accoglie ben volentieri l’invito di Philippe. Quando le ragazze intuiscono qualcosa nelle intenzioni dei quattro uomini decidono di lasciare la casa. Solo Andréa resterà con loro e soddisfacendoli sessualmente li accompagnerà, come un dio dell’oltretomba, fino alla loro tanto desiderata estinzione.
La grande abbuffata – I personaggi
UGO: cuoco, italiano, con un ristorante nel centro di Parigi che si è costruito con il duro lavoro e la nobile arte della cucina. Ugo, interpretato da Tognazzi, il cui ruolo dello chef gli si addice perfettamente, è stanco della vita coniugale e anche di tutto quel sistema culinario in cui lavora. Preparerà continuamente piatti sofisticati per tutti fino ad arrivare alla famosa cupola fatta di paté d’anatra, d’oca e di pollo. Rifiutata da Philippe e da Andréa, finirà col mangiarsela tutta lui. Stanco, tronfio e vicino alla morte chiede alla donna di soddisfarlo sessualmente mentre continua ad ingozzarsi.
PHILIPPE: l’ultimo dei quattro a tirare le cuoia. Interpretato da Philippe Noiret, questo personaggio è un giudice integerrimo, romantico ma spesso anche infantile. S’innamora perdutamente di Andréa nella quale rivede la nutrice. Tuttavia deve accettare il fatto di dover morire e che la formosa maestra è un gioco per tutti e non solo per lui. Tuttavia, come coccolato dalla sua balia, morirà fra le braccia della stessa Andréa. Non prima di avere mangiato un dolce a forma di seno che la donna gli ha preparato.
MARCELLO: il secondo italiano del gruppo. Marcello Mastroianni interpreta questo pilota d’aereo e anche se è forse il personaggio meno riuscito, è comunque importante per vedere come decade un donnaiolo. Malato di sesso e di donne, Marcello rasenta sempre il maniaco sessuale. La galoppante impotenza sarà infatti un duro colpo che non riuscirà a digerire. Non riuscendo a soddisfare Andréa, infatti, si infuria. Tradendo il patto fatto con gli amici decide di andarsene con una vecchia Bugatti che ha trovato in garage. Purtroppo, a causa del freddo e dell’indigestione, Marcello sale su quell’automobile ma lì resterà fino al mattino seguente. I suoi amici lo troveranno completamente ibernato.
MICHEL: il più gentile e sofisticato dei quattro. Il suo vestire un po’ stravagante e i suoi modi delicati fanno pensare che dietro al suo personaggio si nasconda una possibile omosessualità. Purtroppo per Michel, durante quei giorni di abbuffate, sarà vittima della turba organica meno raffinata: un terribile meteorismo intestinale. Dopo aver cercato di lottare contro questo ostacolo, arrivato al suo ultimo giorno, rilascerà un intenso e sonoro peto che lo farà stramazzare al suolo pochi secondi dopo. Il personaggio del produttore televisivo è interpretato da Michel Piccoli.
ANDREA: a vestire i panni della grassa maestra è Andréa Ferréol. Lei è l’apparente buona e dolce docente che si presenta ai quattro uomini. Dopo aver accettato l’invito, si dimostrerà disposta a tutto e si mostrerà come una donna instancabile e insaziabile di cibo e di sesso. Una specie di essere mitologico e soprannaturale che ad uno ad uno accompagnerà verso la morte i quattro personaggi. La sua, dopo aver capito la loro intenzione, diventerà una missione da portare avanti fino in fondo. Quello che rimane di questo personaggio è la freddezza attraverso la quale agisce. Andréa non si scandalizza ma accetta il volere di quegli individui che vedono in lei un ultimo sfogo.
Una vera e propria estinzione di quattro borghesi. La Società dove hanno sempre vissuto ha succhiato il loro entusiasmo e il loro stupore alla vita. Ferreri punta proprio alla descrizione assurda di questa decadenza. Mediante la partecipazione di quattro mostri sacri del cinema italiano e francese scrive una pagina di storia del cinema che nemmeno i fischi del 26° Festival di Cannes possono cancellare. Il regista, con l’aiuto di Francis Blanche e Rafael Azcona, dirige un dramma organico. Punta proprio sul disgusto fisiologico e organico per ripugnare il pubblico borghese e per far ridere il volgo. A distanza di anni dalla sua uscita, La grande abbuffata è ora un cult rivalutato e al quale hanno restituito l’importanza che merita.
Mangia piccolo Michel. Se tu non mangi… tu non puoi morire!”
Ugo Tognazzi in una scena de La grande abbuffata.
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