In questi mesi si è parlato molto di Padrenostro, il nuovo lungometraggio diretto da Claudio Noce. La suddetta opera è approdata trionfalmente all’ultimo Festival di Venezia e ha permesso a Pierfrancesco Favino di ottenere l’ambita Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile.

Padrenostro racconta la storia di Valerio (Mattia Garaci), un bambino di dieci anni che assisterà a un attentato fatto ai danni di suo padre Alfonso (Favino), un vicequestore. Un episodio che cambierà radicalmente la vita del protagonista, il quale, nel corso della vicenda, stringerà una forte amicizia col quattordicenne Christian (Francesco Gheghi).
Il regista de La foresta di ghiaccio si basa su un fatto accadutogli personalmente per raccontare gli anni di piombo. Questo periodo buio, caratterizzato da lotte armate e terrorismo, nel corso degli anni è stato portato sul grande schermo da talentuosi registi. Giuseppe Ferrara, Marco Tullio Giordana, Elio Petri, Mimmo Calopresti e tanti altri. Questi, in film indimenticabili come Romanzo di una strage o Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto hanno analizzato quel periodo storico da un punto di vista prettamente storico e sociale.
Noce invece compie un’operazione simile a quella fatta dal regista neozelandese Taika Waititi. Quest’ultimo nel bellissimo Jojo Rabbit raccontava l’Olocausto visto con gli occhi dei bambini. In Padrenostro sono gli stessi anni settanta ad assumere un contesto favolistico. Valerio dopo aver assistito al tentato omicidio ai danni del padre perderà l’innocenza fanciullesca e imparerà a dover convivere con la paura. Il film mostra che il suddetto stato emotivo accompagna sistematicamente tutti coloro che hanno il coraggio di combattere contro la criminalità organizzata.
Favino è monumentale nel calarsi nei panni di questo padre “vecchio stampo” che fatica a mostrare le sue emozioni. Alfonso corrisponde infatti al cosiddetto maschio Alfa di quegli anni. Anni in cui essere forti equivaleva ad essere duri. Cosa sbagliata in quanto, come ha asserito il celebre scrittore italiano Alessandro D’Avenia, l’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti.
Il piccolo Mattia Garaci è bravissimo e, a differenza di altre volte, dimostra che nel cinema italiano anche i bambini possono rivelarsi dei validi attori. Lo stesso Francesco Gheghi a tal proposito è ineccepibile nell’interpretare un ragazzino ambiguo di cui solo alla fine scopriremo la vera identità. Christian per certi versi è un personaggio che sembra uscito da un romanzo di Mark Twain. In alcuni momenti sembra quasi una figura allegorica che simboleggia il passaggio di Valerio dall’infanzia all’età adulta.

In definitiva Claudio Noce riesce a raccontare in modo lieve ed intimista un periodo storico che non deve assolutamente ripresentarsi. Non è un caso che il titolo sia l’inizio di una preghiera. Noce infatti supplica le generazioni future di non permettere più che accadano cose talmente indicibili da causare il trauma di un bambino al punto da cambiare irreversibilmente la sua esistenza.
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