Il celebre sketch di Gigi Proietti, quello del matto che aiuta uno sconosciuto a risolvere il suo problema con la macchina e che si conclude con la frase “Io so matto, mica so stronzo!”, per quanto possa essere apparentemente distante col senso di Elephant Song, trova comunque dei validi riferimenti con il film e con la costruzione di uno dei suoi personaggi. Diretto nel 2014 da Charles Binamé, il film è interpretato da Bruce Greenwood (Io, Robot, The Post), Catherine Keener (Into the Wild, Get Out), e dall’enfant prodige Xavier Dolan, qui in veste esclusivamente di attore.

Quest’ultimo è il perno attorno al quale ruota la trama di Elephant Song. Dolan è la traccia e la risoluzione finale. Egli è il personaggio del pazzo che, come si è visto infinite volte al cinema, a differenza dei comuni e apparentemente normali individui, sembra saperne molto più di loro. Da qui un possibile legame con la battuta del mitico Proietti. Una sorta di Hannibal Lecter che dovrebbe aiutare l’altro protagonista a risolvere uno strano caso di sparizione all’interno di un ospedale psichiatrico.
Elephant Song (2014) – La trama
Il dottor Green (Greenwood) deve a tutti costi risolvere il caso di sparizione di un suo collega, il dottor Lawrence, scomparso il giorno prima dall’ospedale dopo la sua ultima seduta. Per poter capire che fine abbia fatto è costretto ad interrogare l’ultimo paziente che lo psichiatra ha visitato: Michael Aleen (Dolan). Sebbene la capoinfermiera Peterson (Keener), metta in guardia il dottore sulle doti manipolative di Michael, finisce col perdersi nei giochi e nei tranelli del paziente il quale, sebbene sappia la verità su Lawrence, contratta con Green prima di poter parlare. Sarà proprio questa negoziazione ad essere fatale sia a Green che allo stesso Michael.
Il personaggio di Dolan è quello di un lucido squilibrato che sa benissimo cosa vuole. Il suo ben preciso disegno lo porta comunque ad aprirsi con il medico, raccontandogli della sua vita e del suo profondo interesse per gli elefanti. Da uno spiacevole episodio con un elefante la sua vita è stata stravolta. Canticchiando una canzoncina che ha a che vedere con il pachiderma, Michael torna indietro nel tempo, alla sua infanzia, al suo odio-amore con la madre e alla lontananza con il padre.
Un éléphant, ça trompe, ça trompe
Un éléphant, ça trompe énormément
Ritornello della canzone cantata da Michael Aleen in Elephant Song
La canzone per bambini che Michael canta in una scena del film è la stessa che, se ascoltata con attenzione, nasconde il piano del paziente. Piano che riesce a portare a termine ingannando Green e l’infermiera. Tuttavia, dietro a questo schema, si nasconde il richiamo di aiuto di un uomo in gabbia che comprende la sua situazione e dalla quale vuole e deve fuggire. Dietro la sua pazzia si nasconde tutta la lucida consapevolezza di essere un individuo, come l’elefante, estraneo, maltrattato e in via d’estinzione. Solo alla fine Michael mostra tutta la sua umanità e il desiderio di libertà.
Elephant Song non è un capolavoro, ma comunque un thriller dai risvolti drammatici che riesce, almeno in parte, a ipnotizzare e incuriosire lo spettatore. Più che un buon film dal punto di vista registico, è un’opera di attori: pochi ma buoni. Xavier Dolan, che solitamente è regista di se stesso, stavolta si lascia dirigere da qualcun altro, mostrando comunque una maturata dote attoriale. Egli si rifà ad altri grandi pazzi del cinema che devono aiutare il protagonista. Ma se questi, come il già citato Lecter, non lascino scappare nulla della propria vita, in Dolan esce sempre fuori quel filo di autobiografica innocenza. Quella giovane dolcezza attraverso il quale potersi riconoscere più facilmente.

Quello che Elephant Song ci lascia maggiormente è quel particolare interesse verso il rovesciamento delle parti. Ovvero quando un individuo disturbato e apparentemente debole finisce col superare in astuzia il più forte. In questo caso il contrasto medico/paziente è gradevole, così come il contrasto tra la recitazione di Greenwood, attore dai tempi di Rambo, e Dolan.