Tutti abbiamo un luogo a cui sentiamo di appartenere. Un posto che ci permette di essere liberi di esprimere la nostra vera personalità senza preoccuparci dei giudizi degli altri. Questo posto potrebbe essere ovunque: in una stanza, in una città, in un parco o in una giungla africana. Sì, avete letto bene, in una giungla africana. A chi o a che cosa sto pensando? Se poteste sentirmi, cercherei di darvi la soluzione facendovi sentire un urlo ben preciso che scommetto riconoscereste immediatamente. Ci siete arrivati vero? Sapevo che avreste capito. Il personaggio che ho in mente è proprio Tarzan, il protagonista dell’omonimo film di animazione del 1999 diretto da Chris Buck e Kevin Lima, nonché trentasettesimo Classico Disney.
Tratto dal romanzo di Edgar Rice Burroughs, il personaggio principale della storia è un ragazzo che perde i genitori da bambino. La coppia di origine inglese, a seguito di un naufragio, era approdata sulle coste dell’Africa dove aveva scelto di stabilirsi con il figlioletto ancora in fasce. Purtroppo però, la famiglia viene assalita dal leopardo Sabor che, per un caso fortuito, non riesce a uccidere il piccolo Tarzan. Il bimbo infatti verrà portato in salvo da Kala, una femmina di gorilla che dopo l’accaduto decide di adottarlo e di farlo crescere nella giungla lussureggiante assieme agli altri simpatici animali che la popolano.
Di questi Tarzan impara a imitarne e a sfruttare i comportamenti e le capacità conducendo una vita serena. La sua esistenza verrà sconvolta al momento dell’incontro con i suoi simili, ossia tre esploratori: la guida di nome Clayton, il professor Porter e sua figlia Jane. Sarà lei a colpire particolarmente Tarzan.
A partire dal momento della sua uscita nelle sale, il film ha riscosso un successo tale da essere ritenuto uno tra i migliori prodotti realizzati dalla famosa casa di produzione. Sarà che sono di parte, visto che dall’alto dei miei ventiquattro anni non sono ancora riuscita a trovare un film di animazione firmato Disney che non abbia soddisfatto i miei gusti, se non in rarissime occasioni, ma il mio parere non può che allinearsi a quello della critica. Infatti, fin dalla prima volta che l’ho visto, Tarzan mi ha conquistato immediatamente grazie a tre elementi: i personaggi, il messaggio e, ovviamente, le canzoni.
Per quanto riguarda i primi, mi piace molto il modo in cui sono stati concepiti sia a livello di raffigurazione che di caratterizzazione. Si tratta naturalmente di due piani strettamente collegati, in cui il tratto adottato per delineare l’aspetto di un dato personaggio è una spia essenziale della sua personalità e del suo ruolo nella storia. Per questo il malvagio Clayton si contraddistingue per dei lineamenti piuttosto duri e uno sguardo minaccioso, mentre i due migliori amici di Tarzan, il gorilla Terk e l’elefante Tantor, si riconoscono per la scelta di linee più morbide e le fattezze molto più amichevoli. Non è un caso che i due rappresentino la linea comica del film e perciò, come al solito, i personaggi che preferisco.
In secondo luogo, credo che in Tarzan si possa leggere la rappresentazione di una qualsiasi fase di transizione che potrebbe capitare nella vita di ognuno, che sia il passaggio dall’adolescenza all’età adulta o magari la fine di un percorso che ci costringe a scegliere quale strada imboccare. Il film infatti si concentra sul momento in cui tutto l’insieme delle certezze del protagonista comincia a scricchiolare, lasciando spazio alla curiosità, alle scoperte, ma anche alla paura che comporta il prendere una decisione. I numerosi e differenti stati d’animo che accompagnano Tarzan in questo stadio di novità e insicurezza vengono rispecchiati nell’ambiente che lo circonda, dimostrando così il legame inscindibile che esiste tra il giovane uomo e la giungla, il luogo che gli ha permesso di vivere e che gli farà capire qual è la sua direzione.
In ultimo punto, il lungometraggio è commovente per la sua parte musicale affidata all’enorme talento di Phil Collins. L’artista non solo si è occupato della composizione, ma ha anche prestato la sua voce per ogni pezzo, cantando addirittura in cinque lingue diverse. Sono state le sue canzoni a fare in modo che mi affezionassi a questo film di animazione e ogni volta che ne ascolto le note, lo ammetto, una lacrima mi scende sempre. Sono sicura che se lo vedrete, scenderà anche a voi, per i brani, per la storia e per la bella sensazione che ti lascia il film, come quella impagabile che si prova quando troviamo il luogo a cui si appartiene.
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