I tempi in cui si pensava che l’animazione fosse adatta esclusivamente ai più piccoli sono ormai finiti. Che sia stato grazie all’ironia scorretta di programmi quali South Park o I Simpson, che sia merito dell’elaborata maestria dello Studio Ghibli o del fenomeno pop Bojack Horseman, la tecnica dell’animazione ha ormai sdoganato le vecchie regole, liberandosi del pregiudizio che non possa essere utilizzata per un’opera che il grande pubblico definirebbe “impegnata“.
È in quest’ottica che si inserisce il lavoro di Salvador Simó, regista e sceneggiatore di Buñuel nel labirinto delle tartarughe. Il film d’animazione, vincitore di premi internazionali e proiettato durante il festival Visioni Fantastiche, racconta le difficoltà di uno dei maestri del surrealismo alle prese con la realizzazione di un documentario.
Terra senza pane (1932) – Il drammatico documentario di Buñuel
Prima di passare all’analisi dell’opera di Simó è importante accennare brevemente a Terra senza pane, una delle esperienze cinematografiche più singolari per Luis Buñuel. Particolare non solo per le particolari circostanze che l’hanno portato al realizzazione del documentario, ma anche per l’accoglienza che la Repubblica Spagnola riservò alla pellicola. Il film aveva il preciso scopo di mostrare le drammatiche condizioni in cui viveva la popolazione di Las Hurdes, regione contadina della Spagna.
Oltre a mostrare l’estrema povertà della regione, il cineasta surrealista si concentra sul folklore e le tradizioni del luogo, focalizzandosi in particolar modo sugli elementi più cruenti.
All’epoca l’opera venne censurata dalla Repubblica Spagnola per l’immagine negativa che dava del paese. In particolar modo per la scomoda figura che rappresentava il produttore della pellicola, l’anarchico Ramón Acín. In seguito il documentario venne riabilitato per esigenze politiche, ma continua a far discutere a causa della violenza sugli animali presente in diverse scene.
Buñuel nel labirinto delle tartarughe (2018) – L’animo di un surrealista
Il film ha inizio con una breve sequenza intervallata dai titoli di testa, dove un gruppo di intellettuali seduti ad un bar discutono delle motivazioni che hanno portato alla nascita del movimento surrealista. Dopo essersi concentrato sui diversi presenti, l’inquadratura ci mostra finalmente Luis Buñuel, vestito da suora e con un sorriso smagliante. Capiamo quindi fin da subito che la pellicola oscillerà continuamente fra il reale e il surreale, rappresentato il più delle volte dai sogni del protagonista.
Sogni che, assieme ai flashback della sua infanzia, aiutano lo spettatore a capire il suo stato d’animo e le motivazioni delle sue azioni. L’onirico, attraverso la tecnica dell’animazione si esprime in tutta la sua potenza, tramite sequenze fantastiche non solo per il contenuto ma anche per l’aspetto visivo. Anche la soundtrack è un elemento caratterizzante di alcune sequenze, aiutandoci a distinguere la realtà concreta da quella del sogno per l’uso di alcune specifiche colonne sonore. Ma il lungometraggio animato non si compone solo di sequenze oniriche e flashback d’infanzia.
Viene dato spazio anche alla miseria, alla fame e al malessere che attanagliava quei luoghi, dando vita a scene d’impatto visivo. A sottolineare questo elemento è l’utilizzo di alcuni frame di Terra senza pane, che si imprimono nello spettatore per la crudezza delle scene mostrate, valorizzate dall’effetto cosiddetto “sporco” tipico delle vecchie pellicole.
Buñuel nel labirinto delle tartarughe è ben lontano dall’essere un semplice omaggio al regista spagnolo, bensì è un film che esplora la psiche del famoso maestro surrealista, mostrandolo al lavoro sul set e alle prese con i suoi amici e collaboratori, concentrandosi in particolare sul rapporto con Acín. Il tutto attraverso le infinite possibilità che offre la tecnica dell’animazione.
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