Il cinema di Xavier Dolan possiamo dire che inizia nel 2009. J’ai tué ma mère rappresenta infatti l’ingresso del giovanissimo Xavier Dolan in un mondo che da quel momento non ha più lasciato. I suoi drammi e le sue riflessioni sulla vita e sui rapporti interpersonali iniziano tutti, cinematograficamente parlando, da questo lungometraggio da lui stesso interpretato assieme all’attrice Anne Dorval. L’attrice molto spesso ritornerà nei film a seguire come Les Amours imaginaires e Mommy.
A soli diciannove anni Dolan già pianta le basi per un tipo di cinema che ben presto si configurerà con il suo nome e con il suo particolare stile. Come suggerisce il film in alcuni suoi punti salienti, J’ai tué ma mère è la confessione spontanea del regista al mondo su chi sia e sulla sua natura e su ciò che vuole dire. Eppure questo film nasce tre anni prima, quando Dolan ha ancora sedici anni. E’ solo dopo la sua apparizione nel film Martyrs di Pascal Laugier, che l’idea per quest’opera prima inizia a concretizzarsi.
J’ai tué ma mère (2009) – La trama
Il film inizia con un chiaro aforisma di Guy De Maupassant e dal titolo, che tradotto significa “Ho ucciso mia madre”, comprendiamo dove il regista vuole andare a parare. Tuttavia non sappiamo bene come farà ad avvicinarsi a questo eterno rapporto di amore e odio tra una madre e il proprio figlio. Quale espediente usa Dolan per descrivere in maniera originale tale legame, qual è l’ingrediente segreto del suo cinema?
La storia è quella di Hubert Minel, un sedicenne che vede il rapporto con sua madre, Chantale, logorarsi giorno dopo giorno. La colpa di tale disfacimento sarebbe soltanto dell’odiata genitrice. La madre, separatasi dal marito il quale non si sentiva pronto per fare il padre, è un misto di tenacia e gentilezza che mette sotto pressione il giovane Hubert. Verso di lei il ragazzo non nutre nessun interesse. Si sente sottomesso a tal punto dai suoi modi dittatoriali che le nasconde persino la propria omosessualità. Quest’ultima faccenda, arrivata all’attenzione di Chantale per pura casualità, mette la donna in uno stato di tale confusione che la cosa migliore per lei è quella di iscrivere il figlio a un collegio fuori città.
Per quanto Hubert provi ad abbozzare e a non reagire, poco prima che parta confessa il suo odio alla donna. Nonostante le parole forti e taglienti, la donna non può far altro che continuare ad amarlo. Tale amore viscerale e profondo non si spegne, bensì cresce anche quando Hubert scappa dal collegio. Sarà la stessa Chantale a trovarlo nel suo “regno” mentre gli altri si arrovellano per capire dove sia andato.
La madre e il figlio: due entità tanto uguali quanto diverse. Un amore che, spesso, è tenuto in piedi proprio dallo stesso odio che al contempo lo logora. J’ai tué ma mère ritrae un giovane con tutti i problemi e con tutte le gioie che questa società gli serba. Eppure Dolan si concentra su un tema così ancestrale e così usato che comunque in questo film appare unico e originale grazie alla sua poetica aspra ma vera allo stesso momento.
Hubert, che poi sarebbe una proiezione del regista, cambia i suoi usi, i suoi costumi ma cambia soprattutto il suo comportamento verso la madre. Dall’amore spontaneo della fanciullezza si passa al risentimento e all’acredine dell’adolescenza. Quello che non cambia è invece il comportamento della madre nei suoi confronti. Dolan centra davvero l’obiettivo descrivendo una donna che semplicemente è quello che è. Una madre che agisce come meglio crede e che nonostante i continui litigi con Hubert continua dritta per la sua strada.
“Quando sarai grande farai quello che vuoi e come vuoi. Ma fino a quel momento…..”. Questa è una delle frasi che più spesso abbiamo sentito nella nostra vita ed è sempre una madre a pronunciarla. J’ai tué ma mère coglie perfettamente sia il sentimento rabbioso del figlio sia quel connaturato amore del genitore. Tale sentimento di forte attaccamento e attenzione oscilla più volte nella giovinezza scanzonata del ragazzo e nel suo continuo ribollire. Risulta essere, invece, costante e identico nella madre sin dalla nascita del suo bambino, e rimane tale fino alla fine.
In altre parole Dolan ci dice che i momenti in cui un figlio, specie se maschio, e una madre possono andare d’accordo forse sono pochi. Il sentimento che li lega è invece eterno e incorruttibile. Probabilmente il film dice di più, ovvero che la mamma non potrà mai essere amica di suo figlio. Essa è un’altra cosa. Lei è madre, è un’autorità, è un Dio terreno capace di grande amore ma anche di grande odio e indifferenza. E come Dio ci accorgiamo solo alla fine della sua importanza, quando forse è troppo tardi.
Dopo questo film l’arte di Xavier Dolan si è sviluppata a tal punto che nel corso della sua carriera è riuscito a toccare varie tematiche e ad analizzare svariati comportamenti e relazioni.
La tematica che però torna sempre nei suoi film, e che ritroviamo anche nel suo ultimo lavoro, Matthias & Maxime, è il sentimento nei confronti della madre e il rapporto con essa. Ritorna anche l’altro grande tema della sua filmografia, ovvero quello dell’omosessualità. In J’ai tué ma mère Dolan lo accenna e lo mostra attraverso il rapporto passionale fra Hubert e Antonin, interpretato da François Arnaud.
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