Tratto dal romanzo di Stephen King del 1987, Misery non deve morire -Misery nella versione originale-, divenne un celebre film solo tre anni più tardi e grazie alla regia di Rob Reiner. Già regista di Harry ti presento Sally e Stand by Me, quest’ultimo ispirato da un altro racconto di King, Reiner filma forse uno dei suoi lavori più entusiasmanti con protagonisti James Caan e Kathy Bates.
Bates, che poi diverrà un volto inconfondibile del cinema americano, per la sua interpretazione della psicopatica Annie Wilkes si aggiudica il premio Oscar come migliore attrice protagonista. Da quel momento tale ruolo non la lascerà più, nonostante i tanti film da lei interpretati. Ma cosa voglioni dirci Reiner e King con Misery? Che la fama e il prestigio spesso possono anche ritorcersi contro, e che avere tanti ammiratori non è sempre un bene. Specialmente per quelli che si presentano come “l’ammiratore numero Uno!”.
Il drammaturgo statunitense e il regista di Non è mai troppo tardi, analizzano il ruolo dello scrittore di successo, ormai al punto di odiare così tanto la sua creazione da doverla distruggere a tutti i costi. Solo in questo modo potrà ricominciare con una più nuova e fresca carriera. King e Reiner tuttavia analizzano a loro modo anche il ruolo del fan, ora gentile, ora morboso. Fan che ama a tal punto il suo artista/eroe da impossessarsene letteralmente fino a fondersi nel suo stesso essere.
Misery non deve morire – La trama
Il romanziere Paul Sheldon (Caan), noto soprattutto per la lunga serie di libri su Misery Chastain, decide di far morire la sua eroina per dedicarsi alla scrittura di tutt’altro materiale. Come d’abitudine, dopo aver passato alcune settimane in Colorado per scrivere la sua nuova opera, riparte verso New York. Durante il tragitto lo coglie di sorpresa una bufera di neve e dopo aver perso il controllo del veicolo precipita dalla scarpata.
Viene miracolosamente aiutato da un misterioso salvatore che successivamente si presenta allo scrittore come Annie Wilkes (Bates), una sua grande ammiratrice che lo ha portato in casa sua dove ha potuto fasciargli le gambe e il braccio, rottisi nell’incidente. Paul, che non sa come ringraziare la donna, l’unica cosa che può fare e lasciarle leggere il nuovo romanzo. Nel frattempo Annie ha iniziato a leggere anche l’ultimo libro di Misery, convinta che sarà un altro capolavoro. Ma dopo aver scoperto la morte della protagonista si avventa furiosa contro Paul al quale dice di non aver chiamato né i soccorsi né la polizia.
Dopo questo spiacevole episodio Paul vorrebbe scappare ma la situazione fisica non glielo consente. Inoltre Annie ha già un piano per il suo scrittore preferito. Dopo aver distrutto il nuovo romanzo, la donna costringe Paul a riscrivere un nuovo capitolo di Misery e finché non lo farà non potrà uscire da quella casa.
Cosa ci ha lasciato il film di Reiner?
Le atmosfere agghiaccianti di casa Wilkes, le battute sarcastiche fra lo sceriffo Buster McCain e la moglie. Ma soprattutto le interpretazioni formidabili degli attori. Il ruolo di Kathy Bates, della pazza omicida che ha un maialino domestico di nome Misery e il cui passato è ancor più spaventoso del suo presente, è di sicuro quello che i cinefili maggiormente ricordano di questo cult. Fra tutti i film che si sono ispirati alle opere di Stephen King, Misery non deve morire è uno dei più belli, alla pari con altre trasposizioni cinematografiche come Shining o Le ali della libertà.
I personaggi secondari sono quelli ai quali si lascia più libertà di ironia: perché non sono nella drammatica situazione di Sheldon e anche perché sono di per sé spiritosi. Lo sceriffo e sua moglie sono interpretati da Richard Farnsworth e da Frances Sternhagen. Il ruolo dell’agente di Sheldon, Marcia Sindell, è rivestito da Lauren Bacall.
Reiner, e allo stesso ugual modo Caan e Bates, riescono a toccare le corde più profonde del nostro essere. Dopo l’Oscar, Kathy Bates e la sua Annie Wilkes saranno inseriti nella lista dei 50 migliori cattivi del cinema statunitense.
Misery non deve morire, inoltre, ci ha lasciato delle scene davvero memorabili. Il primo tentativo di fuga da parte di Paul, la scena in cui Annie fa bruciare allo scrittore il suo manoscritto oppure quella in cui lo sceriffo va alla fattoria Bates per indagare. Eppure, la sequenza che tutti ricordano con disgusto, ma anche con piacere, è quella del martello e dei piedi. Quella che in inglese si traduce più semplicemente con il termine Hobbling (azzoppare).
Essere Paul Sheldon oppure Annie Wilkes?
Il romanzo e il film colpiscono innanzitutto i fanatici di una qualsivoglia arte. La groupie che seguiva il cantante durante tutta la tournée solo per toccare un lembo della sua giacca, e il lettore incallito che ha ogni singola opera in bella mostra di un preciso scrittore, è la cosiddetta lampadina che si accese a King nel lontano ’87. Più dello scrittore stesso, King si focalizza sull’ammiratore, capace di essere tanto gentile quanto spaventevole e pericoloso. Questo lo vediamo, e Reiner ce lo mostra in maniera magnifica, nella rappresentazione di Annie Wilkes.
Dall’altra parte c’è Paul Sheldon. Egli è uno scrittore che fino a quel momento non aveva capito quanto la sua arte potesse essere forte e influente. Quella temporanea immobilità gli permette di vedere il suo lavoro in maniera assai diversa. Non ha più di fronte a sé solo se stesso, il suo personale stile e il suo gusto. Non ha più solo una vaga idea di cosa potrebbe o non potrebbe piacere al suo lettore. Sheldon è un martire e il santo patrono di tutti gli scrittori: sia di quelli bravi sia di quelli che ci provano senza mai riuscire.
Per questa categoria Sheldon s’immola, anche se contro la sua volontà, venendo in contatto con una misteriosa e strana ammiratrice. Quest’ultima diventa la sua infermiera, la sua ammiratrice numero uno ma anche la sua carnefice. Sarà lei a trasformare per sempre l’esistenza e anche il genio artistico di Paul. Lo scrittore con la sua esperienza marca un lungo e allucinante incubo che nessuno scrittore vorrebbe mai vivere.
Reiner resta fedele al romanzo di partenza con l’unica differenza di essere riuscito a dare ai personaggi del testo un volto credibile. Dopo il successo de Il Padrino, James Caan, che fino ad allora era noto soprattutto per aver vestito i panni di Santino “Sonny” Corleone, dà al personaggio di Paul Sheldon grande veridicità ma soprattutto un’umanità che si riscontra nelle sue grida di dolore e nei suoi duplici tentativi di fuga. Tentativi a volte terminati male, perché dall’altra parte c’è Annie, ovvero la tarchiata Bates che tutto sente e tutto vede.
Lascia un commento