Il vigile – Il cult di Luigi Zampa che ci rappresenta tutti

Da molti considerato come il film più bello e ispirato di Alberto Sordi. Il vigile, anno 1960, è un capolavoro intramontabile del cinema italiano e della commedia, diretto da Luigi Zampa e scritto assieme a Rodolfo Sonego e Ugo Guerra.

Il vigile (1960), regia di Luigi Zampa.

Il boom economico va veloce e il cinema, come aveva fatto il Neorealismo durante e dopo la guerra, appunta e descrive nel lunghissimo reportage chiamato commedia all’italiana. Tutto per dare un’ironica, grottesca ma anche vera e genuina rappresentazione della società italiana dello sviluppo economico. La grande maschera di questo filone cinematografico è Sordi, e così anche nel film di Zampa, Albertone Nazionale dà il suo inconfondibile contributo per un’opera che è, assieme ad altre pellicole dell’epoca, un gioiello inestimabile e unico.

Il vigile (1960) – La trama

Otello Celletti (Sordi), è un disoccupato che, abbandonata la divisa alla fine della guerra, si ritrova senza un posto di lavoro. Non volendo aiutare il cognato Nando (Nando Bruno), un losco e non proprio onesto macellaio, Otello vive sulle spalle della moglie Amalia (Marisa Merlini) e del figlioletto Remo il quale, nonostante la giovanissima età, è già un bravo meccanico. Quest’ultimo, dopo aver salvato dal fiume un suo coetaneo, chiede al padre, l’assessore comunale Mandolesi, di dare un lavoro a Otello.

Tuttavia Otello non vuole un posto ai mercati generali come uomo di fatica e scontento va a protestare dal sindaco (Vittorio De Sica). Aiutato da un vescovo riesce a coronare il suo sogno; entra nella polizia municipale e diventa vigile. Tuttavia, lasciandosi prendere troppo dall’incarico affidatogli, Otello mette in atto alcune piccole punizioni ai danni di quelli che prima l’avevano sempre canzonato e chiamato sfaticato. Come se non bastasse, a causa di un piccolo disguido, si inimicherà anche il sindaco che, a sua volta, saprà come vendicarsi.

Ne Il vigile di Zampa si può respirare tutta l’italianità attraverso le avventure comiche di Celletti/Sordi. In realtà Zampa dirige l’attore romano e tutti gli altri interpreti verso una commedia carica di satira nei confronti di una società che ha cambiato volto durante gli anni ma mai i suoi usi e modi di fare. La corruzione, la politica come mezzo per soddisfare i propri capricci personali, la poltrona che deve essere occupata a qualsiasi costo. E ancora, la frode ai danni dello stato, la disoccupazione e, cosa più importante di tutti, la famosa raccomandazione.

Franco Di Trocchio e Alberto Sordi ne Il vigile.

Il raccomandato in Italia è un classico: è un morbo che nonostante il progresso scientifico e sociale non è stato mai debellato. La meritocrazia in questo bel paese non è un qualcosa in più ma qualcosa in meno, così come una buona educazione, lo studio ecc. Basta essere raccomandati. Ed è proprio di questo che il film, in parte, parla. Sordi incarna l’uomo medio senza lavoro: non lo trova ma non lo cerca neanche, ed è solo grazie all’aiuto dall’alto che può coronare il suo sogno.

Celletti è, né più né meno, l’incarnazione perfetta dell’italiano. Di quell’italiano che si è creato con lo sviluppo economico e che poi si è “evoluto” fino ad arrivare ai giorni nostri. Tuttavia, quello che Il vigile ci insegna è che niente è veramente cambiato, e siamo ancora qui ad attendere la raccomandazione di un cugino o dell’amico del fratello di un dirigente che lavora per tizio, caio e sempronio.

Ma non c’è solo la cosiddetta spintarella e Otello Celletti è allo stesso tempo carnefice e vittima. Dall’altra parte c’è la politica: anche quella non è poi così cambiata. De Sica, il quale aveva già lavorato assieme a Sordi ne Il conte Max e ne Il medico e lo stregone, impersona un sindaco di un paese alle porte di Roma. Il suo è il ruolo di un individuo diviso in due. Una parte pubblica, quella seria e istituzionale, e una parte privata, rappresentata da loschi affari, dagli appalti truccati e dal vizio dell’infedeltà coniugale. De Sica, qui insuperabile assieme ad Alberto Sordi, rappresenta quell’ala politica che, apparentemente, è sempre stata votata alla patria, a Dio e alla famiglia. Il suo ruolo afferma che, anche in questo caso, non è cambiato niente.

In mezzo a questi due personaggi, c’è la difficoltà nel decidere se tutti gli uomini sono uguali difronte alla legge e se alcuni uomini sono davvero incorruttibili come dicono di essere; senza macchia e senza peccato. Il processo finale, che è un meraviglioso riassunto dei difetti dell’italiano, evoca proprio questo amletico dilemma.

Alberto Sordi in una scena del film.

Il film s’ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto, ovvero all’episodio di un vigile che aveva multato l’allora questore di Roma, Carmelo Marzano, per aver commesso un sorpasso vietato. Il vigile, inoltre, proprio per tali temi scottanti, passò per la censura. La frase che Marisa Merlini recita alla fine di quel processo, fu tolta quando il film uscì la prima volta. Frase reinserita per il restauro dell’opera solo nel 2004, ben 44 anni dopo.

È meglio che ti ci abitui da piccolo alle ingiustizie, perché da grande non ti ci abitui più!

Marisa Merlini ne Il vigile (1960)

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