Dalle 300 alle 600 mila vittime, dal 2011 a dicembre 2020, sono le stime delle vittime della guerra civile in Siria, secondo il Syrian Observatory for Human Rights. Secondo le Nazioni Unite, al 23 aprile 2016, le vittime erano 400 mila. Una tragedia immane, in una nazione che ancora non trova pace. Da quelle terre, dopo tre anni di riprese sul campo, Gianfranco Rosi ha tratto il suo Notturno.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2020, Notturno è un film documentario che racconta la quotidianità di un popolo in guerra. Il conflitto non è l’attore principale, se non lo sfondo sul quale i protagonisti sono costretti a muoversi.
Gianfranco Rosi non racconta una storia, ma la lascia scorrere all’interno della macchina da presa. I volti stanchi e le speranze confluiscono in un documento che non lascia spazio all’interpretazione. Nonostante sequenze visivamente potenti, ciò che colpisce di più è la bellica quotidianità dei protagonisti.

Alì è tra i protagonisti di Notturno. Il più grande di sei fratelli, è l’unico che esce tutti i giorni per andare a racimolare qualche soldo, che sia su una nave di pesca o al fianco di un cacciatore. Rosi ci porta all’interno di una casa, in quella che è la sfera più intima e riservata di una famiglia.
Lo spettatore viene catapultato anche tra le fila delle combattenti curde. Infatti, non è raro trovare battaglioni femminili tra i Peshmerga (combattenti curdi per l’appunto). Nonostante il regista si accodi a quest’armata, non indugia mai nel riprendere scene di combattimento. Tutt’altro. Rosi le riprende nei loro momenti di riposo, sedute intorno a una stufetta elettrica in attesa di un tè caldo.
Tutta l’esperienza curda durante la guerra in Siria meriterebbe un approfondimento diverso: sia per l’esperienza di autogoverno democratico della regione del Rojava, sia per il trattamento che la comunità internazionale ha riservato loro. Dopo anni a combattere in prima linea lo Stato Islamico, i curdi sono stati abbandonati sia militarmente che politicamente.
La realtà del Kurdistan siriano, e delle sue difficoltà, è stata raccontata anche dal fumettista romano Zerocalcare in Kobane Calling (2015), reportage del suo viaggio in Rojava. Non è chiaramente un documentario o un saggio storico, ma un’opera d’arte capace di denunciare quanto visto ed emozionare, allo stesso tempo, il lettore.
All’interno di un ospedale psichiatrico, nel frattempo, un medico coinvolge alcuni pazienti per portare in scena un piccolo spettacolo. L’impegno e la dedizione che i pazienti mettono nel trasporre un semplice copione d’ispirazione patriottica è il simbolo di come, in ogni momento, anche il più difficile, l’arte possa motivare riempire la vita degli uomini.
Di tutto il film, il momento più doloroso di Notturno, è il racconto, da parte di alcuni bambini di religione yazida, delle atrocità commesse dello Stato Islamico. Attraverso i loro disegni, bambini così piccoli che forse nemmeno hanno mai conosciuto la pace, raccontano le torture, le persecuzioni e le violenze commesse contro di loro e le loro famiglia e comunità dalla follia genocida dei miliziani di Daesh.

Notturno va visto. Non solo perché è un mirabile esempio di cinema documentario, ma soprattutto perché mostra qualcosa di cui dovremmo essere tutti coscienti quando parliamo di Siria, profughi, Isis e terrorismo.
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