Amarcord – Fellini e la malinconica giostra della giovinezza

Vincitore del premio Oscar nel 1975 come miglior film straniero, Amarcord è il coronamento artistico dei sogni di Federico Fellini che si mescolano con il ricordo della giovinezza passata a Rimini prima di trasferirsi a Roma. Ma la Rimini di Fellini è sempre al confine tra una visione onirica, trasformata e una realtà che è sempre idealizzata.

Amarcord, anno 1973, regia di Federico Fellini.
Amarcord (1973).

È forse proprio tale idealizzazione di un ricordo lontano e sfumato che fa di questo film uno dei più grandi capolavori del regista e perciò di tutto il cinema. Amarcord è una favola farsesca e grottesca che va dall’estate all’inverno, dalla primavera all’autunno; è la circolarità delle stagioni con tutti i suoi eventi comici e gli episodi drammatici, cadenzati dalla motocicletta di Fu Manchù che scandisce il cambiamento e apre a nuovi avvenimenti e a nuovi sogni.

Amarcord (1973) – La trama

Negli anni del regime fascista Fellini racconta la storia di Titta Biondi e di tutti quei tipi che ruotano attorno a lui. Attraverso gli occhi di un adolescente ci immergiamo in un racconto ricco di avvenimenti e costellato da un universo interminabile di personaggi. Avvenimenti questi che si susseguono nell’arco di due primavere. Tutto incomincia infatti con il rito della “sega vecchia” in cui tutti gli abitanti della città si riuniscono per salutare l’inverno e abbracciare la bella stagione che verrà. Quindi la primavera, l’estate, l’autunno, l’inverno e di nuovo la primavera.

 Mio nonno fava i mattoni, mio babbo fava i mattoni, fazzo i mattoni anche me’, ma la casa mia n’dov’è?

Amarcord (1973)

Ogni episodio è per Titta unico, irripetibile, corrisposto ad un preciso luogo ed evento, come il pranzo in famiglia e la visita allo zio Teo, una giornata a scuola, la confessione, le ore passate al cinema Fulgor o la gita in barca per andare a salutare il Rex, il transatlantico di ritorno dagli Stati Uniti. E ancora, il Grand Hotel, la spiaggia deserta e il mare.

Tutto si mescola e tutto torna a vivere in estate per poi appassire in inverno nell’anno del “Nevone” e nella nebbia in cui ogni cosa si perde, persino il simpatico nonno, cantore di simpatici aneddoti sui suoi avi. In mezzo i tanti personaggi che arricchiscono quest’avventura a dir poco incredibile; la formosa e insaziabile tabaccaia, il podestà, la Gradisca, il papà, la mamma, il cieco suonatore di fisarmonica, la Volpina e lo zio matto che si arrampica sull’albero per gridare al mondo la sua smania. Una vera sfilata di casi umani che si susseguono sulle note dolci e piene di ricordi di Nino Rota.

Magali Noël interpreta il personaggio della Gradisca. Una scena del film.

La grande sfilata di personaggi e di luoghi

La Rimini, quella di Fellini, torna ad essere lo sfondo per una storia in parte autobiografica dopo I Vitelloni. Amarcord è l’opera maestra di un regista estremamente cinico e ironico, quanto malinconico, capace di creare un mix di realtà e finzione, passione e spensierata giovinezza; come dice il poeta, bisogna saperla cogliere e vivere quando è il momento. E il giovane Titta, figura che trae ispirazione dall’amico di tutta una vita, Titta Bensi, è il protagonista felliniano che, a differenza degli eroi vissuti o di mezza età visti nelle opere precedenti, ha ancora tanto da scoprire e da esprimere. Il pubblico si identifica con lui ma si riconosce soprattutto con la visione che il ragazzo ha degli altri; di esseri mitici o temibili che nella realtà sarebbero tutti fin troppo normali.

Nell’immaginazione di Titta/Fellini la Gradisca diventa la donna della vita, l’essere più sensuale e affascinante. Il padre è quello più incazzoso e il Grand Hotel è il luogo dei sogni per eccellenza, dove tutto può succedere. I luoghi del regista sono perciò ricreati, in gran parte, nel famoso Studio 5 di Cinecittà; la fabbrica delle chimere scelta da Fellini come luogo sacro dove poter creare e fuggire dal troppo realismo della quotidianità.

I volti che vediamo in Amarcord sono grandi attori di teatro, semplici comparse o individui scelti da Fellini per ricreare il suo universo. Fra gli interpreti più noti ci sono Pupella Maggio nella parte della madre di Titta, Ciccio Ingrassia in quella dello zio Teo, Magali Noël nei panni della Gradisca e Nando Orfei. Nella parte di Titta Biondi venne scelto il giovane Bruno Zanin, che da quel momento deciderà di continuare la carriera di attore.

Tutti pensano che sia solo il riferimento al dialetto ‘mi ricordo’: è vero, ma solo per assonanza, perché in realtà deriva dalla ‘comanda’ dei ricchi che entravano al bar chiedendo l’amaro Cora. Da amaro, amaro Cora, è nato Amarcord.

Tonino Guerra, co-sceneggiatore del film

Oltre all’Oscar per la miglior opera straniera, Amarcord si aggiudicò due David di Donatello per il miglior film e la miglior regia e ben quattro Nastri d’Argento. Il film è inoltre stato inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare.

“Esportazione?”. La tabaccaia di Amarcord.

Insomma Amarcord è un ritorno nella terra natia. E’ uno scavo profondo, giocherellone e anche triste nei ricordi d’infanzia, nella giovinezza, nel regime fascista che Fellini non perde tempo a canzonare. Tuttavia è proprio questa sbarazzina presa per i fondelli che ci fa immergere in una dimensione di profonda malinconia. La stessa malinconia che ci permette di capire che tutto quel mondo e quella stagione sono andati e non torneranno più.

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