Il braccio violento della legge – Friedkin e la rivoluzione del poliziesco

Capolavoro del 1971 diretto da William Friedkin, Il braccio violento della legge è un cult spaventosamente attuale. Sebbene siano passati cinquant’anni dalla sua realizzazione, l’opera in questione si ricollega perfettamente alla contemporaneità. Cinque premi Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura non originale, miglior montaggio e soprattutto migliore attore protagonista a Gene Hackman.

Roy Scheider e Gene Hackman in una scena de Il braccio violento della legge (1971).

Il film è infatti una svolta per l’attore californiano; dopo l’indimenticabile interpretazione del detective Jimmy “Popeye” Doyle, la carriera di Hackman decollerà definitivamente e non si interromperà più. Accanto a lui non bisogna dimenticarci di citare Roy Scheider e Fernando Rey. Il primo nella parte del detective Russo e l’altro in quella del villain di turno, anche se in questo film in particolare è davvero difficile trovare un ver e proprio confine fra “buoni” e “cattivi”.

Friedkin, regista noto soprattutto per aver diretto due anni più tardi L’Esorcista, trae ispirazione da un libro/inchiesta di Robin Moore, non solo circoscrivendo il mondo della malavita e quello della legge, ma unendoli insieme in un racconto tagliente e crudo dove i due universi si mescolano tra loro cancellando quella barriera tra legale e illegale che i film polizieschi precedenti avevano sempre cercato sottolineare.

Il braccio violento della legge (il titolo originale è The French Connection), rivoluziona il genere poliziesco e la figura del poliziotto. Quest’ultimo, visto sempre come un eroe integerrimo e leale, è ora ancor più spietato e privo di umanità del vero criminale, il quale, invece, è visto con charme, e più in particolare come un essere umano più raziocinante.

Il braccio violento della legge – La trama

Jimmy Doyle e Buddy Russo sono due investigatori della narcotici dai metodi violenti e dalla vita dissoluta. Senza alcun indizio certo, iniziano a seguire una pista che dovrebbe portarli ad un grosso traffico di droga proveniente da Marsiglia. I superiori non sono disposti a dargli ascolto. Si ricrederanno in seguito, dopo l’arrivo negli Stati Uniti di Alain Charnier il quale, secondo Doyle e Russo, sarebbe la mente di questo colpo. Colpo che vede come protagonisti potenti trafficanti come l’italo-americano Sal Boca e sua moglie Angie.

Il pedinamento di Charnier e di Boca non porta a risultati concreti fino a quando Doyle, vittima di un imboscata da parte dello scagnozzo di Charnier, lo incalza in un incredibile inseguimento automobilistico che finisce con la morte della guardia del corpo. Decisi a smascherare la negoziazione fra Charnier e Boca, i due investigatori mettono in allarme tutto il corpo di polizia. Tuttavia, il solo desiderio di Doyle è quello di prendere il francese e ucciderlo. Ma ci riuscirà?

Con Il braccio violento della legge 2 scopriamo che Charnier era in realtà riuscito a fuggire. Intanto, alla fine del primo film, a rimetterci le penne era stato un collega di Russo e Doyle. Questi ultimi due, dopo il blitz, venivano trasferiti a un’altra sezione e il film di Friedkin si chiudeva con un insolito e freddo finale, lasciando nello spettatore l’amaro in bocca. Il film del 1971 è caposcuola di una rinascita del genere poliziesco e dell’action movie che ora si fa letteralmente più distaccato e agghiacciante. Impossibile identificarsi nei personaggi protagonisti che sono dei veri e propri antieroi. Anzi, il più delle volte ci riconosciamo più nei cosiddetti cattivi, descritti con molto più garbo, specialmente perché sono francesi.

Doyle e Russo rappresentato una quasi perfetta raffigurazione del lato oscuro della legge. Quella legge che non vorrebbe farsi mettere i piedi in testa da nessuno, quella che abusa del proprio potere e quella che comanda con il pugno di ferro. Perfino il linguaggio usato è rivoluzionario, pieno di volgarità e battute razziste. Il linguaggio dei delinquenti usato dai poliziotti e non dai criminali. Ecco che, con una regia sterile e quasi distaccata, Friedkin riesce a dare prova di essere un autore innovativo. Riesce a descrivere un mondo, quello della legge, corrotto, marcio, lercio ma soprattutto molto, molto violento.

Il braccio violento della legge è diventato subito un classico del cinema. Con gli anni non ha smesso di entusiasmare nuove generazioni di spettatori e anche di registi. È sconcertante soprattutto il metodo usato nel film dai poliziotti che trova riscontri simili, se non più drastici e incontrollati, nella realtà. L’omicidio di George Floyd, che ha dato vita al Black Lives Matter, non è che l’ultimo esempio di immorale comportamento da parte delle forze dell’ordine. Il braccio violento della legge per la prima volta non mitizza i cosiddetti depositari della giustizia, bensì li denuncia, mettendoli sullo stesso piano dei malavitosi.

Lo spagnolo Fernando Rey è il criminale francese Claude Charnier.

Degne di nota restano alcune scene come l’arresto iniziale, il blitz, le sequenze degli appostamenti o la scena in metropolitana. Da manuale resta comunque l’inseguimento, girato da Friedkin in persona, dato che gli altri operatori erano tutti sposati e con figli.  

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