Rifkin’s Festival – Woody Allen e l’eterno amore per il cinema europeo

Tornare al cinema dopo quasi un anno a vedere Rifkin’s Festival, il nuovo film di Woody Allen, fa un certo effetto. Si perché il pluripremiato regista newyorkese realizza film da quasi cinquant’anni, riuscendo a rimanere stoicamente sulla breccia. Ecco perché si può tranquillamente asserire che Allen è il cinema.

Rifkin's Festival, ultima operascritta e  diretta da Woody Allen.
Rifkin’s Festival. (da sinistra) Wallce Shawn, Gina Gershon e Louis Garrel.

L’ultima sua opera vede come protagonista Mort Rifkin (Wallace Shawn), ex professore di cinema con velleità romanzesche che decide di accompagnare la moglie Sue (Gina Gershon) al Festival internazionale del cinema di San Sebastián. La consorte deve recarsi a questo evento per lavoro in quanto è l’addetto stampa di Philippe (Louis Garrel), un giovane regista di talento grondante sensualità e carisma. Sue inizia ad invaghirsi dell’aitante artista mentre Mort incontra un’incantevole dottoressa di nome Jo (Elena Anaya) che lo farà capitolare.

Rifkin’s Festival è una brillante commedia romantica che fa leva su stilemi narrativi che sono diventati autentici marchi di fabbrica dell’immarcescibile regista americano. Wallace Shawn, attore feticcio di Allen, si cala magistralmente nei panni di un uomo sensibile e romantico che ama il cinema; un individuo che si pone frequentemente numerose domande esistenziali che non hanno una risposta. Mort è un vero e proprio alter ego alleniano che durante il lungometraggio sarà catapultato in indimenticabili voli pindarici che omaggiano registi del calibro di Federico Fellini, Ingmar Bergman, Jean-Luc Godard e Luis Buñuel per citarne alcuni.

Rifkin’s Festival infatti è una vera e propria dichiarazione d’amore da parte di Woody Allen al cinema Europeo. Le sequenze in cui rievoca e Il settimo sigillo sono d’antologia e valgono da soli il prezzo del biglietto. Un plauso a uno straordinario Christoph Waltz nei panni di una morte caustica e irriverente. In questa sua ultima fatica Allen ribadisce l’importanza del sogno e riflette sul fatto che per vivere è necessario non pensare alla morte. Impreziosito dall’impeccabile fotografia del fido Vittorio Storaro e dalla bellissima location spagnola che infonde calore e passione alla pellicola, Rifkin’s Festival è un film perfetto per la riapertura delle sale in quanto omaggia la Settima Arte in ogni sua sfaccettatura.

I dialoghi sono pungenti come in tutti i film di Allen. Non manca inoltre la stoccata al dilagante Politically correct. Dopo aver realizzato opere che rievocavano palesemente quelle dei suoi miti, Woody Allen decide di fondere in un’ora e mezzo alcune tra le scene più famose della Settima Arte reinterpretandole a modo suo. Per certi versi Rifkin’s Festival somiglia ad Harry a pezzi; entrambi risultano essere frammentati e presentano molteplici voli pindarici.

Il regista di Crimini e misfatti e Match Point ricorda allo spettatore che le vite di ognuno di noi sono giudicate da chi ci circonda; proprio come avviene in un festival cinematografico. D’altronde Come affermava l’indimenticato drammaturgo inglese William Shakespeare, tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena. In conclusione dunque, citando il maestro del brivido Alfred Hitchcock, si può affermare che il cinema sia la vita senza le parti noiose.

Rifkin's Festival (2020), di Woody Allen.
Woody Allen sul set del suo ultimo film assieme all’attore protagonista Wallace Shawn.

Rifkin’s Festival invita tutti noi a trovare il coraggio per fare della nostra vita un Festival meraviglioso. Bentornato Woody! Bentornato cinema!

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