Entrare nell’archivio storico, fotografico e musicale di Miles Davis è come entrare nella bottega di Michelangelo, o di Leonardo Da Vinci; lui non c’è più ma infinite sono le tracce del suo passaggio. Lo stesso accade per il regista Stanley Nelson che, grazie alle testimonianze e agli scritti biografici di uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, dirige Miles Davis: Birth of the Cool.

Documentario del 2019 uscito sulla piattaforma Netflix. L’opera racconta la travagliata esistenza di Miles Davis e il suo status compiaciuto e allo stesso tempo scomodo di essere stato riconosciuto come uno dei jazzisti più influenti e grandiosi di tutti i tempi. Il titolo fa riferimento all’album omonimo del 1957 pubblicato dalla Capitol Records, che segna l’ingresso nel panorama musicale della leggenda Davis.
Già regista di The Black Panthers: Vanguard of Revolution e Freedom Riders, Nelson dirige Miles Davis: Birth of the Cool con il sostegno scritto di alcune pagine delle memorie scritte dallo stesso trombettista che si fa strada nei ricordi sin dalla sua nascita fino all’età più matura della sua carriera. Una voce fuori campo legge gli scritti di Miles, mentre fotografie e testimonianze di colleghi e amici, come Quincy Jones, Santana, Juliette Gréco e Frances Tylor, abbelliscono un documentario sensibile e fedele.
Sarà proprio Tylor che alla sua carriera di ballerina dividerà un rapporto profondo con il musicista. Sarà proprio questa donna ad aiutarlo a uscire dalla sua dipendenza dall’eroina e a superare l’operazione alla gola che aveva rovinato per sempre la sua voce. La Tylor al suo fianco fu per Davis una musa ispiratrice che lo accompagnó durante la sua carriera fino al 1966, quando l’abuso di eroina aveva raggiunto livelli davvero insopportabili per la ballerina.
Ma piú che delle donne, degli amori e delle delusioni, Miles Davis: Birth of the Cool vuole essere una cronaca precisa sull’evoluzione musicale apportata da questo talento naturale. Evoluzione che andò di pari passo con la storia del mondo, dell’arte e della società. Miles Dewey Davis III nasce ad Alto, nell’Illinois, da una famiglia altolocata. Il padre era dentista a Saint Louis mentre la madre suonava il pianoforte. Nonostante il padre gli avesse regalato una tromba, la sua infanzia non è scandita tanto dalla musica, quanto dai litigi, spesso violenti, fra i genitori. Questo periodo segnerà tutta la vita di Davis il quale, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è già un professionista volato a Parigi per scandire la fine del conflitto.
Stando alle sue stesse parole, a Parigi, a cui farà ritorno all’inizio degli anni ’50, Miles si sente meglio; si sente se stesso. Nella capitale francese entra in contatto con esseri umani diversi fra loro, di differenti lingue, razze e religioni e perciò allo stesso tempo unite sotto un’unica grande nazione. Al suo ritorno in America, invece, si ritrovò ad affrontare nuovamente il divario fra bianchi e neri e fu proprio in questo momento che conosce l’eroina.
Dopo il periodo del bebop e le collaborazioni artistiche con Charlie Parker e Dizzie Gillespie, Davis è costretto ad operarsi a causa di problemi alla gola. Questo inciderà sul sono della sua voce che diventerà gracchiante e i primi tempi lo metterà in forte imbarazzo dinnanzi al suo pubblico. Ciononostante, è proprio in questo periodo di cambiamenti e insoddisfazioni che Davis raggiunge un primo grande successo con una musica, identificata con l’album Birth of the Cool, che a detta di molti è la migliore in assoluto. Una melodia sentimentale e drammatica, profonda, calda, estraniante a volte: la medicina contro la disperazione. Davis è talmente in sintonia con la sua tromba che nelle serate più traumatiche dà persino le spalle al pubblico, senza però smettere di suonare. Perché l’importante è suonare.

Grazie al ricordo di quegli amici e colleghi illustri che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, Miles Davis: Birth of the Cool si costruisce a poco a poco toccando i punti più salienti di una vita all’insegna del jazz. Uno di questi è rappresentato soprattutto dall’incontro con Louis Malle. Il regista francese, trafitto dalle note del trombettista statunitense, lo ingaggiò per scrivere alcune musiche per il suo nuovo film, Ascensore per il patibolo. Davis scrisse tutta la colonna sonora non appena il film fu terminato, e registrò tutte le musiche senza averle provate prima; senza uno spartito, ma con l’unico e totale consenso fra melodia e immagini.