Ladri di biciclette – Il triste e sconsolato capolavoro del Neorealismo

Per chi si è commosso con Titanic o con qualche classico Disney di sicuro non ha mai visto Ladri di biciclette, il film forse più lontano dalla concezione della vita di un luterano, che se fosse per lui arriverebbe sempre al lieto fine. E invece, in questo capolavoro neorealista del 1948 firmato da Vittorio De Sica, la vita si presenta nella sua forma più spietata, cinica e cattiva.

Ladri di biciclette (1948), regia di Vittorio De Sica.
Ladri di biciclette (1948). Il momento esatto in cui rubano la bicicletta ad Antonio.

Alla sua uscita, in pieno periodo post-bellico, quando l’Italia e così l’Europa si ritrovarono a dover uscire dalle macerie provocate dalla guerra, il film di De Sica divise in due critica e pubblico di tutto il mondo. Eppure, fu il successo quasi immediato a guidare Ladri di biciclette nell’olimpo dei capolavori della settima arte. Oscar al miglior film straniero e una candidatura a Cesare Zavattini per la migliore sceneggiatura, l’opera in questione è un sofferto e tragico resoconto di vita che si manifesta nell’Italia del dopo guerra. Come Rossellini e altri grandi registi di questo glorioso genere artistico, anche De Sica è attratto dalla quotidianità della vita, dai suoi pregi e difetti. Film, questo, che è entrato a far parte della lista dei 100 film italiani da salvare.

Da quella dimensione routinaria, il regista di Umberto D. e La ciociara, ricava una storia che è rimasta impressa nella memoria collettiva di tutti. Se La vita è bella cercava un filo di splendore e speranza in un contesto catastrofico come le leggi razziali e lo sterminio degli ebrei, De Sica e il suo Ladri di biciclette fanno esattamente l’opposto, e ricercano il dolore e il dramma nelle peripezie di Antonio Ricci e del piccolo Bruno, interpretati rispettivamente dai principianti attori Lamberto Maggiorani ed Enzo Staiola.

Ladri di biciclette – La trama

Antonio Ricci, un disoccupato romano, riesce a trovare lavoro come attacchino comunale. Con i pochi soldi rimasti compra una bicicletta, utile al suo lavoro. Tuttavia, proprio il giorno in cui prende servizio, un ladruncolo gli ruba il mezzo e scappa. Antonio cerca di raggiungerlo ma è tutto inutile. Dato lo scarso interesse da parte delle forze dell’ordine, l’uomo è costretto a ritrovare da solo la bicicletta, e accompagnato dal figlioletto Bruno inizia la caccia.

Dalla mattina fino alla sera Antonio e Bruno percorrono mezza Roma in cerca della bicicletta senza riuscire mai a ritrovarla. Nei pressi di Porta Portese, Antonio individua il ladro che, resosi conto di essere inseguito, scappa ancora una volta. I due riescono a fermare solo per un attimo un barbone che stava parlando con il ladro, ma appena Antonio si distrae un momento il vecchietto sparisce. Preso più dallo sconforto che dalla rabbia, Antonio si recherà persino da una maga in cerca di aiuto ma le parole della donna, con fare quasi canzonatorio, non contribuiranno in alcun modo nel ritrovamento della bicicletta. 

Lamberto Maggiorani ed Enzo Staiola in una scena del film.

Solo dopo molte ore, padre e figlio s’imbattono nuovamente nel ladro che stavolta non riesce a fuggire. Antonio cerca di estorcergli la bicicletta con la forza ma tutti gli abitanti del quartiere in cui abita il ragazzo prendono le sue difese minacciando invece il povero derubato, che è costretto ad andarsene. Sconfitti e stanchi Antonio e Bruno si fermano ad aspettare il tram che li riporti a casa, ma nonostante tutto, Antonio non vuole tornare a mani vuote. Adocchiata una bicicletta incustodita, cerca di rubarla ma viene immediatamente fermato dal proprietario e da una folla inferocita di passanti che lo bloccano e lo assalgono. Nel momento in cui stanno per chiamare la polizia, Bruno piangendo corre in aiuto del padre e i presenti, impietositi da quella scena, decidono di lasciarlo andare. Antonio e Bruno, mano nella mano, riprendono la strada mentre sulla città cala la notte.

Disperazione nella Roma caotica, povera e indifferente del dopoguerra

Ladri di biciclette non parla di un’umanità ristorata; quel lieto fine tanto sperato non arriverà per Antonio, uomo di mezza età, disoccupato e con moglie e figli a carico. Ma soprattutto, il lieto fine non arriverà per lo spettatore che viene violentato costantemente dalla tragedia dei due protagonisti. Quel senso di irrequietezza e di disagio che cresce nel pubblico di scena in scena ci permette di vivere sulla nostra pelle le peripezie dei due personaggi. L’umanità nella quale Bruno e Antonio vivono è un’umanità che esce incattivita dalla guerra. Tutti i personaggi che si incontrano sono cinici, grotteschi, indifferenti e soprattutto omertosi; caratteristica questa che fa parte del DNA degli italiani che preferiscono far finta di non sapere e non vedere, diventando così muti e consenzienti complici.

Antonio e il figlio sono anch’essi il frutto di questa nuova società, anche se, forse, non se ne rendono conto. L’Italia che sta nascendo sarà quella del boom economico ma fame e miseria ancora invadono le città. Vittorio De Sica sceglie dalle strade e dai quartieri della capitale volti inesperti che danno alla pellicola quel realismo che tanto va cercando. Maggiorani, nelle vesti di Antonio Ricci, era un operaio della Breda, scelto da De Sica per la sua faccia e il suo modo di camminare. Enzo Staiola, il piccolo Bruno, scelto fra tanti bambini della Garbatella, è l’angelo custode, lo spettro che segue il padre ovunque alla disperata ricerca della bicicletta perduta. Altro grande tema che torna nelle opere di De Sica è il ruolo dei bambini che, nonostante la tenera età, sono già entrati nel mondo degli adulti e come loro vivono le stesse angosce e lo stesso senso di insoddisfazione.

Anche gli altri personaggi secondari sono i cosiddetti attori presi dalla strada. Eppure, fra di loro si possono riconoscere volti noti del cinema italiano come Memmo Carotenuto e Nando Bruno. In una scena del film, quando Bruno e Antonio si riparano dalla pioggia assieme ad un gruppo di preti, fra i giovani sacerdoti fa una piccola comparsata il regista Sergio Leone. Tuttavia, il vero grande protagonista di Ladri di biciclette è Roma. La città, con una varietà a volte stomachevole di tipi umani, fa da sfondo all’avventura, o meglio, alla disavventura del padre e del figlio. In un momento storico dove il lavoro scarseggia e il benessere economico è ancora lontano, una piccola cosa come una bicicletta diventa l’oggetto del desiderio, il mezzo che può davvero cambiare la vita di una persona.

Vittorio De Sica, il cui ricordo resta ancora vivo grazie a capolavori quali L’oro di napoli o Il giardino dei Finzi-Contini, ricrea saggimente l’accoppiata che c’era fra Chaplin e il piccolo Jackie Coogan ne Il monello (The Kid). Ma se nel capolavoro del 1921 la povertà veniva ironizzata e anche sbeffeggiata, come solo Chaplin sapeva fare, in Ladri di biciclette De Sica annulla ogni traccia di sarcasmo e di fiducia nei confronti dell’essere umano. La fine gioiosa e allegorica de Il monello, adesso si trasforma in un finale deciso, improvviso che lascia lo spettatore pietrificato, pieno di domande e con un grande magone.

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