Vacanze Romane (1953) è uno di quei film destinati ad occupare un luogo di rilievo nella storia del cinema. Infatti, oltre ad essere un cult ed una favola per tutte le età, è stato uno di quei film che, più di altri, ha contribuito in modo decisivo alla costituzione stessa del cinema in generale, del suo linguaggio espressivo quanto dello stile narrativo.
Il regista di questo classico senza tempo è William Wyler, noto cineasta Hollywoodiano di origini tedesche, che nella sua carriera vinse tre Oscar (raggiungendo in totale dodici candidature) e che, oltre che per Vacanze Romane, verrà per sempre ricordato per aver diretto un altro capolavoro senza tempo, quale Ben-Hur (1959).
Dietro questo film si nasconde però un’altra stella di Hollywood, ossia il grande sceneggiatore americano Dalton Trumbo, noto al mondo da un lato per i grandi capolavori cinematografici che ha contribuito a realizzare (ricordiamo il grande Spartacus di Stanley Kubrick, con Kirk Douglas); dall’altro per essere passato dalla Hollywood ten alla Hollywood Blacklist, solo per essersi opposto al maccartismo. La cosa divertente è che Trumbo si aggiudicò un oscar per il soggetto di Vacanze Romane, ma gli venne riconosciuto solo in seguito, perché – proprio per via del maccartismo anti-comunista – non poté firmare il soggetto di questo capolavoro. Per qualche informazione in più sull’affascinante vita di Trumbo rimandiamo all’ottimo film L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo (2015) di Jay Roach con Bryan Cranston nei panni del grande sceneggiatore americano.
Ma adesso torniamo a Vacanze Romane. La trama – tratteggiata da Trumbo – è alquanto semplice: la giovane principessa Anna (Audrey Hepburn) stanca della solita noiosa e insipida vita di palazzo, approfittando di una visita istituzionale nella città eterna, sparisce per un giorno intero, nel quale si mimetizza tra la gente ”normale” per vivere una giornata speciale. E questa giornata speciale gliela farà vivere il giornalista americano Joe Bradley (Gregory Peck), il quale, se in un primo momento era interessato solo a guadagnarsi un grosso scoop, verrà poi travolto dalla bellezza e dalla dolcezza della giovane principessa.
Pare che ad ispirare questa trama fu la breve seppur intensa storia d’amore tra la principessa Margaret (la sorella minore della Regina d’Inghilterra Elisabetta II) e il colonnello della RAF Peter Towsend (per chi fosse interessato alla vicenda rimandiamo alla prima stagione della serie The Crown targata Netflix).
Da questo punto di vista si capisce perché questo film è stato spesso definito come una ”Cenerentola al contrario”, ma è molto di più di questo. Chi potrebbe mai dimenticare la scena di Gregory Peck che, passeggiando da solo di notte, tra i fori imperiali della Roma degli anni ’50, incontra un’incantevole Audrey Hepburn (che all’epoca aveva soli 23 anni) sdraiata su di una panchina? Senza contare che è stato proprio questo film a regalare alla Hepburn la fama cinematografica che sicuramente meritava. Senza alcun dubbio la scena della Hepburn e di Peck che sfrecciano sulla Vespa della piaggio davanti al Colosseo (senza casco ovviamente) è destinata a rimanere scolpita non solo nella mente dei cinefili ma in generale sul frontespizio della cultura Occidentale e forse, potremmo azzardare, perfino mondiale.
Si tratta di una di quelle commedie romantiche che hanno reso Hollywood la mecca del cinema e non è difficile indovinare il perché: è infatti il giusto mix tra diverse tendenze e generi che arricchisce questa fiaba senza tempo che sicuramente si è incarnata in molte altre opere cinematografiche (ad esempio il film Lizzie McGuire – Da liceale a popstar del 2003 con Hilary Duff non è che una parodia adolescenziale di Vacanze Romane).
Avremmo assistito a tutto un altro film se – come inizialmente voleva fare la Paramount – la regia fosse stata affidata a Frank Capra (che inoltre era pure di origini italiane) e i due ruoli da protagonisti fossero stati assegnati a Cary Grant ed Elizabeth Taylor. Ma si sa che il grande Cinema è anche il frutto di contingenze casuali e che forse è un bene che certi film li possiamo solo immaginare.
Vacanze Romane non è solo la storia di un’estate a Roma e di una giornata fuori dall’ordinario: le 24 ore nelle quali la principessa Anna si lascia alle spalle la pesantezza e gli obblighi della vita reale per vagabondare e sperdersi tra gli innumerevoli divertimenti di una Roma senza tempo, sono solo una metafora. Nulla di male ovviamente nell’arrestarsi a questo livello di lettura (chiunque proverebbe piacere nel lasciarsi andare anche solo alla contemplazione di questi fatti narrativi).
Sullo sfondo di questa lettura però, a fondamento di essa, attraversando il pathos di quell’atmosfera estiva che ci fa tanto sognare, si districa un una storia di formazione: a spingere la principessa Anna a mettere la testa fuori dal sacco è lo stesso moto interiore che portò il principe Siddharta a diventare il Budda (come c’è l’ha mostrato Bernardo Bertolucci in Piccolo Buddha del 1993).
L’interesse di Anna per il mondo popolare, per la ”normalità”, per quella realtà sociale così diversa dalla sua, sono tutte declinazioni dell’interesse di relazionarsi consapevolmente con l’alterità, con ciò che è ”diverso” per imparare a conoscerlo e così facendo a conoscersi ad un livello più ampio. È questa esperienza di formazione che trasforma la mentalità della principessa, consentendole di affermare il suo punto di vista nella conferenza pubblica sul rapporto tra gli stati che chiude il film. L’importanza della differenza, i processi di soggettivazione e il rapporto con l’alterità. Sono dunque questi i temi che raccolgono il messaggio di Vacanze Romane.
È questo il messaggio nella bottiglia che Wyler e Trumbo ci lanciano dagli anni ’50. E forse in quest’epoca di ”scandali reali” (si pensi alle recenti gesta della famiglia reale inglese), dove il popolo degli influencer non aspirerebbe a niente di meglio di entrare – seppur dalla porta sul retro – nel favoloso mondo della nobiltà e dell’aristocrazia commerciale, questa romantica storia di interiorità nella quale ci si spoglia di tutto per ritrovare ciò che è reale, è un esempio di esperienza della quale non dobbiamo dimenticarci.
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