Sergio Leone è uno dei più grandi registi del cinema italiano e del cinema mondiale. I suoi film hanno rivoluzionato la maniera di fare arte e da Roma, anzi da Trastevere, Leone ha portato una ventata d’aria nuova al genere western, diventando uno dei padri di una nuova e fortunata epoca cinematografica grazie all’immortale Trilogia del dollaro. Nella sua carriera, Leone ha diretto solo sei film; sei perle che lo hanno consacrato come uno dei registi più amati e famosi.
Nel periodo in cui in Italia si realizzava di tutto, dall’horror ai film peplum, con la trilogia del dollaro Sergio Leone si impone come regista capace di vedere oltre e di dare ai classici del western americano, come quelli di John Ford, Huston o Walsh, un gusto diverso, di sicuro molto più mediterraneo. Come per l’essere umano, anche il cinema western rinasce sulla conca del Mediterraneo dove un’influenza multiculturale ha dato alla luce opere davvero sensazionali.
Fra Spagna e Italia, con produzioni italiane, spagnole, tedesche e francesi, il genere cinematografico americano per eccellenza, che girava ormai attorno ad un’auto celebrazione banale e senza futuro, rompe gli schemi della tradizione. La trilogia del dollaro, che comincia con Per un pugno di dollari e trova la perfetta conclusione con Il buono, il brutto e il cattivo, segna la fine del western autoctono e marca l’inizio di una razza bastarda di pellicole molto diverse, più eccitanti e destinate a durare nel tempo.
Di Leone e delle sue opere avevamo avuto modo di parlare in un precedente articolo. Con, Sergio Leone: lo studio fiabesco e storiografico che si cela dietro i sei capolavori, avevamo dato spazio alla dimensione fiabesca e storica che possiamo ritrovare all’interno delle sei pellicole dirette dal trasteverino. Dal primissimo film fino al capolavoro assoluto di C’era una volta in America, Leone ha conferito al western un pizzico in più di suspence, caratterizzando molto di più i suoi personaggi, senza però distaccarsi mai dalla storia e da avvenimenti realmente accaduti, che fanno da sfondo alle avventure degli eroi e degli antieroi leoniani. All’interno dei suoi film ritroviamo fatti storici che fanno parte del passato dell’America e in particolar modo degli Stati Uniti, come la rivoluzione messicana, la guerra di civile o gli anni del proibizionismo.
Citando Fantozzi, vogliamo in questa sede ricordare i grandi e irrinunciabili capolavori dei cosiddetti spaghetti western e non solo. Vogliamo intanto iniziare dal principio, dai tre cult ormai senza tempo che, come detto sopra, rientrano sotto la categoria della famosa Trilogia del dollaro, creata da colui che per primo ha sdoganato una rinascita del cinema western, Sergio Leone.
Da Il colosso di Rodi a Per qualche dollaro in più
Bisogna naturalmente iniziare dal primissimo film. Dopo una gavetta lunga vent’anni come comparsa, come aiuto regista e sceneggiatore, sulla scia dei film Peplum come Ben-Hur, Quo Vadis? e Gli ultimi giorni di Pompei, ai quali aveva avuto modo di lavorare, nel 1961 Leone dirige il suo primissimo film come regista accreditato. Il colosso di Rodi è il banco di prova di un giovanissimo regista che di lì a poco sarebbe diventato un autore stimato e di culto. Con il discreto successo del film, infatti, Leone decide di cimentarsi in qualcosa di nuovo. Dato che il panorama cinematografico abbondava di film in costume o film noir, Leone tenta la fortuna riprendendo un genere che fino ad allora era stato esclusivamente degli americani: il Western.
Grande appassionato e divoratore di pellicole come Ombre rosse e Mezzogiorno di fuoco, Leone pensa di usufruire di tale genere narrativo per farlo suo. Liberamente ispiratosi a La sfida dei Samurai di Akira Kurosawa, Leone vola in Almeria, trasforma il deserto spagnolo nel paesaggio di confine fra il Messico e gli Stati Uniti, e grazie alla partecipazione di attori allora sconosciuti dirige il suo secondo film con un misero budget di appena 120 milioni di lire.
Trattasi di Per un pugno di dollari, la chiave per il grande cinema. Rozzo, ancora poco suo, ma già pieno di novità non solo registiche ma anche sonore, il film lancia verso il successo non solo il regista romano, ma anche il compositore Ennio Morricone, che da quel momento in poi sarà legato a Leone come una cozza allo scoglio, l’americano Eastwood e Gian Maria Volontè, nei panni del cattivo Ramon Rojo. Diretto sotto il nome di Bob Robertson -Leone scelse questo nickname in onore del padre, Roberto Roberti, anche lui regista- Per un pugno di dollari uscì con un plauso spaventoso. Acclamato in Italia e nel resto del mondo, il film ebbe un successo enorme durante la stagione cinematografica 1964-1965. Successo che sarà poi superato dal secondo capitolo della trilogia.
Il budget cresce con Per qualche dollaro in più
Da un film low budget si arriva al 1965 con un piano finanziario più sostanzioso. Per qualche dollaro in più è il secondo successo di Leone che richiama Morricone per comporre la colonna sonora, convoca ancora una volta Eastwood, Volontè e i suoi fedeli caratteristi come Mario Brega, allargando, però, la trama del suo nuovo lavoro aggiungendo un nuovo protagonista. I personaggi principali di questa storia sono infatti tre; tre come i film che hanno fatto di Leone un mostro sacro e un dio venerabile, e tre come il triello finale che potremmo gustare solo nell’ultimo capitolo.
All’uomo senza nome e all’antagonista messicano, interpretato ancora una volta da Volontè, si aggiunge un terzo uomo; il colonnello Douglas Mortimer, interpretato da Lee Van Cleeff, che fino a quel momento aveva preso parte solo a piccole produzioni per poi finire presto nel dimenticatoio. Egli è il personaggio novità di Per qualche dollaro in più; un uomo dell’esercito che, a causa dell’assassinio di sua sorella per mano dello spietato El Indio, si mette sulle sue tracce per ucciderlo. Incappa però nel solitario uomo senza nome, bounty killer anche in lui in cerca dell’Indio per avere la tanto ambita ricompensa. I due, nonostante le differenze di rango, d’età e di pensiero, si uniranno contro il criminale e la sua banda intascando la somma di denaro.
Film in cui Leone ha modo di sviluppare i suoi personaggi, specialmente quello di Eastwood e di Lee Van Cleef. Il film è inoltre maggiormente denso di quell’ironia leoniana che è puramente italica e che si ritrova in tutti i suoi film. L’onore, la dignità e il contegno, che si respiravano nelle pellicole con John Wayne e Gregory Peck, ora sono sostituiti da una grande dose di cinismo e un senso del grottesco attraverso i quali i protagonisti vengono descritti spietati e disumani come i villain, e quest’ultimi deboli e umani come i cosiddetti buoni. Tutti sono allo stesso livello, colpevoli e innocenti, spietati e misericordiosi. Leone tratteggia la natura dell’essere umano grazie a questo continuo mescolio di piani e livelli, di volti e azioni.
La quint’essenza del Western e la strada verso La trilogia del tempo
Arriviamo poi alla fine della trilogia. Il buono, il brutto e il cattivo è il capolavoro western di Leone e la quintessenza non solo dei cosiddetti Spaghetti Western ma di tutto il genere. Il film del 1966 segna la fine della trilogia del dollaro ma non la fine del western di Leone; per quello bisognerà aspettare ancora due anni con C’era una volta il West. Ancora una volta il dollaro governa la trama di questa meravigliosa pellicola. Ancora una volta Eastwood e Lee Van Cleef, il quale in questo momento non è più un retto essere umano bensì uno spietato killer chiamato Sentenza (Angel Eyes nella versione originale).
Tuttavia, la vera stella del film è Eli Wallach, scelto da Leone dopo averlo visto recitare la parte del cattivo ne I magnifici 7. L’attore statunitense, scomparso nel 2014, in questa occasione veste i panni di Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez, un bandito la cui natura oscilla sempre fra il bene e il male, fra il ridicolo e il serio, fra la lealtà e la più cruda disonestà. Egli è il compagno di viaggio con il quale il Biondo, ovvero Eastwood, deve attraversare l’America della Guerra Civile per raggiungere il tesoro di Bill Carson, sepolto in una tomba del cimitero di Sad Hill. Alle loro calcagna c’è naturalmente Sentenza e la divisione del bottino avverrà solo con un regolamento di conti; vale a dire, con il famoso triello finale che chiude l’opera di Leone.
Il regista non è solo attento alla ricostruzione storica della guerra di secessione; meticolosamente Leone ricrea in terra di Spagna lo scontro fra nordisti e sudisti (Yankee e Redneck) grazie ad alcune scene chiave come la sequenza all’interno del campo di prigionia di Betterville e quella della battiglia lungo il fiume Langstone. Leone, tuttavia, tratteggia in modo più maturo anche le personalità dei tre personaggi principali. Tuco e Sentenza, sono forse la concretizzazione più evidente di tutte le ansie, di tutti i pregi e i difetti dell’uomo. Nonostante a Cleef sia affidato il ruolo dell’antagonista costretto a morire, egli non è più malvagio di un Tuco, anche lui capace di tutto nelle condizioni più estreme.
Eppure il vero antagonista non è colui che tenta sempre di sopravvivere come fa Tuco, nè quello che vuole a tutti i costi raggiungere il tesoro prima degli altri come fa Sentenza. In questo caso il vero antagonista è il cinico e apparentemente più tranquillo uomo senza nome. Il personaggio di Eastwood, come vediamo anche nei film precedenti, è probabilmente la versione più disumana dell’essere umano. Dietro al capello biondo, agli occhi azzurri e ad uno sguardo più calmo, si cela un essere freddo, scaltro e maligno allo stesso tempo. Ma di tutto il film, l’uomo senza nome è il personaggio al quale non ci si affeziona e anche il meno riuscito; mentre Tuco e Sentenza, ma soprattutto Tuco, sono caratterizzati in maniera tale da provocare nello spettatore odio e simpatia allo stesso momento.
Il buono, il brutto e il cattivo, il film con il più alto budget di tutta la trilogia, resta anche il più bello della serie. Complici, una considerevole crescita artistica da parte di Leone, la storia che si fa sempre più avvicente grazie anche all’ausilio di Luciano Vincenzoni, Age & Scarpelli e Sergio Donati in fase di sceneggiatura, la scelta degli interpreti ma soprattutto il contributo musicale di Morricone. Il verso del coyote che apre la pellicola e che poi scandisce i momenti salienti di essa, è uno dei più famosi leitmotiv più famosi di tutta la storia del cinema e della musica.
Il buono, il brutto e il cattivo completa la Trilogia del dollaro e apre la strada alla Trilogia del tempo. Questa, composta da C’era una volta il West, Giù la testa e C’era una volta in America, rappresenta, invece, il grande tentativo di Leone di uscire dall’universo polveroso da lui stesso creato, optando per un linguaggio più universale e melodrammatico. Ma di questa seconda Trilogia parleremo un’altra volta.
Leggi anche: C’era una volta il West – La musica dietro i personaggi.
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