Da anni l’Italia si trova ad essere vessata dalla spinosa questione del precariato. Nel 2008 il talentuoso Paolo Virzì decise di affrontare il tema con il film Tutta la vita davanti.
La pellicola citata vede come protagonista Marta, una ragazza neolaureata interpretata da Isabella Ragonese che si troverà per la prima volta ad affrontare il complesso mondo del lavoro nella società odierna. Dopo aver messo in stand by le proprie ambizioni di ricercatrice infatti Marta inizierà a cercare un impiego part-time al fine di divenire economicamente autonoma. Inizialmente farà la baby sitter alla bambina di una giovane mamma di nome Sonia (Micaela Ramazzotti) mentre successivamente troverà posto in un call center dove lavora Sonia stessa. Marta così si ritroverà catapultata nel magico mondo del precariato, popolato da capi borderline, da impiegati esaltati e da sindacalisti sfigati.
Il regista di Ovosodo e La pazza gioia trae liberamente spunto dal libro Il mondo deve sapere di Michela Murgia per realizzare una commedia caustica dal retrogusto dolceamaro, come nella migliore tradizione del cinema di casa nostra. Tutta la vita davanti lo si può considerare come un autentico affresco di una società parossistica in cui è presente un coacervo di individui alla spasmodica ricerca di una stabilità economica ed emotiva. Ma come si fa a raggiungere un equilibrio se viene incentivato il lavoro precario? Virzì pone lapalissianamente l’accento sulla medesima questione.
Pertinente a tal proposito risulta essere il seguente aforisma della scrittrice Marcella Marra: “La cultura del lavoro che si sta diffondendo ruota intorno all’idea che la precarietà è la normalità stessa del lavoro, ed è la normalità ad essere diventata atipica.”
Isabella Ragonese, qui nel ruolo che l’ha consacrata, è perfetta nell’incarnare questa giovane sognatrice che si troverà al cospetto di un mondo a lei estraneo. Marta rievoca la celebre Alice di Lewis Carroll, solamente che a differenza di quest’ultima la protagonista virziniana si trova nel paese degli orrori.
Tutta la vita davanti, per certi versi, si può definire come una black comedy a tinte grottesche. Il pluripremiato regista toscano paragona in modo geniale i lavoratori del call center ai concorrenti del Grande Fratello, mostrando allo spettatore che la cosiddetta TV trash è diventata lo specchio stesso di una certa parte della comunità. Virzì si serve di una massiccia dose di cinismo che sarebbe piaciuta a maestri del calibro di Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola per citarne alcuni.
Risulta doveroso menzionare un’irresistibile Micaela Ramazzotti, nei panni di una sexy Marylin Monroe di provincia, l’affiatata coppia Sabrina Ferilli–Massimo Ghini, i quali interpretano con molteplici sfumature i capi del call center, il camaleontico Elio Germano, che nel film simboleggia il disagio del precariato, e il sempreverde Valerio Mastandrea, vero e proprio emblema del sindacato all’interno dell’opera.
Paolo Virzì comunica allo spettatore che deve essere imprescindibilmente una fortuna avere tutta la vita davanti e non il contrario. Non dobbiamo smettere infatti di lottare per un mondo in cui le persone possano felicemente andare a lavorare cantando e ballando sulle note dei Beach Boys.
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