Dopo averci regalato pellicole oniriche dal sapore felliniano e film più minimalisti dai risvolti mai banali, Paolo Sorrentino torna sul grande schermo con È stata la mano di Dio, un vero e proprio Amarcord in cui l’osannato regista partenopeo racconta la sua adolescenza, segnata ineluttabilmente da un grave lutto.
Dopo il virtuosismo dilagante in film come La grande bellezza e Youth, Sorrentino realizza un’opera intimista tramite la quale esorcizza l’avvenimento che gli ha cambiato drasticamente la vita. Il giovane Filippo Scotti si cala superbamente nei panni del protagonista Fabietto Schisa, un vero e proprio alter ego sorrentiniano.
Fabietto è un ragazzo sensibile e introspettivo circondato dall’affetto di una famiglia meridionale pittoresca e caciarona. In questo folcloristico nucleo familiare spiccano gli amorevoli genitori, interpretati rispettivamente dal sempreverde Toni Servillo, attore feticcio di Sorrentino e dalla bravissima Teresa Saponangelo e la zia Patrizia, incarnata da una divina Luisa Ranieri.
Essa nel lungometraggio in questione rappresenta un vero e proprio archetipo di femminilità napoletana. Completano il cast attori di prim’ordine del nostro cinema come Renato Carpentieri, Lino Musella e Massimiliano Gallo tra i tanti. È stata la mano di Dio è una sentita dichiarazione d’amore a Diego Armando Maradona e a Federico Fellini, inesauribili fonti di ispirazione per Sorrentino e alla città di Napoli, fotografata in tutta la sua sfolgorante bellezza.
Nella prima parte del film è presente la proverbiale ironia tipica del regista, che in talune sequenze fa ridere di gusto mentre la seconda parte è, per forza di cose, velata da una tristezza che però non sfocia mai in disperazione.
Fabietto teme di non riuscire a trovare più la felicità dopo quello che gli è accaduto ma nonostante ciò inconsciamente non smette mai di pensare ad essa. A un certo punto capisce che per eludere la “realtà scadente” che lo circonda non può fare altro che crearsi mondi immaginari e per farlo deve diventare un regista.
D’altronde come ha asserito il compianto scrittore italiano Umberto Eco: “Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative alla vita vera, che gli provvede solo il materiale grezzo.” In È stata la mano di Dio non mancano i voli pindarici tanto cari a Sorrentino e lunghi piani sequenza che avrebbero fatto impallidire il compianto Sergio Leone, omaggiato più volte nel film da una videocassetta di C’era una volta in America, guardata reiterate volte da Fabietto.
Pertinente col significato intrinseco del film in questione risulta essere il seguente aforisma di Friedrich Wilhelm Nietzsche: “Vi sono perdite che comunicano all’anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi.”
Presentato in concorso alla 78° mostra del cinema di Venezia È stata la mano di Dio si è aggiudicato il prestigioso Leone d’argento. La pellicola inoltre è stata selezionata per rappresentare l’Italia agli Oscar venturi nella sezione del miglior film straniero. Quest’ultima fatica del premio Oscar Paolo Sorrentino è un racconto autobiografico dolente e al contempo ironico, alla stregua della vita.
Continua così Paolo perché, citando il tuo amato pibe de oro, non stai andando così male. Per fortuna la mano di Dio ti ha salvato!.
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