Elephant è un film drammatico del 2003 diretto da Gus Van Sant, vincitore della Palma d’Oro al miglior film e premio per la miglior regia al 56° Festival di Cannes, liberamente ispirato al Massacro della Columbine High School del 1999.
Il titolo richiama il proverbiale elefante nella stanza, ovvero un problema che tutti vedono ma che nessuno vuole affrontare ed è una citazione dell’omonima pellicola del 1989 di Alan Clarke.
Il film gioca su due punti di vista: quello interno, degli studenti, e quello esterno, dello spettatore. Per i giovani liceali è una normale giornata. Colazione, scuola, programmi per il pomeriggio. Per chi sta dietro lo schermo, invece, il lento scorrere della quotidianità scatena uno Spannung interno corrosivo. Si sta là, a guardare quella strana tranquillità, aspettando che accada qualcosa. Per ogni scena ci si chiede: è questo il momento? La tensione si interrompe soltanto al primo sparo, quando, finalmente, tutti sanno. La consapevolezza del punto di vista dello spettatore onnisciente finalmente coincide con quello dei ragazzi. Si è tutti pari, si può continuare a vedere il film, senza sentirsi più in attesa.
Più volte definita cruda, la pellicola è più che altro reale. Le scene scorrono, senza voler mostrare la compressione temporale tipica dei film, anzi, al contrario, la narrazione è dilatata. La stessa giornata sotto più punti di vista. Più occhi, più protagonisti. Quelli veri, le vittime. L’introduzione di un nuovo personaggio durante la sparatoria. Un ragazzo sotto choc che cammina per i corridoi fino ad incontrare la morte. Non sappiamo altro di lui, eppure, anche lui, è un protagonista.
L’assenza di drammaticità e di musica (ad eccezione di una versione per pianoforte di Per Elisa suonata da uno dei due assassini) rende Elephant ancora più realistico. Nessuna musica partirebbe sul serio durante una sparatoria. E la pellicola non vuole essere un film, ma una testimonianza.
Testimonianza di una seria problematica americana.
C’è chi sostiene che il problema non siano le armi, ma gli uomini che usano le armi.
Nella puntata del 26/02/2018 del programma televisivo Today, intitolata Armi: l’ossesione americana, si sottolinea come la popolazione statunitense, sebbene rappresenti solo il 4,4% della popolazione mondiale, possegga il 44% delle armi da fuoco civili nel mondo.
Perchè?
Perchè dietro vi è una sorta di culto delle armi.
Il secondo emendamento della costituzione americana recita così:
Nonostante vi siano state diverse interpretazioni del suddetto emendamento, quella che va per la maggiore è che sì, ogni cittadino ha diritto a possedere un’arma e quindi, se la si può possedere, la si può anche usare per difendersi.
Ma basta solamente un emendamento a spiegare la popolarità delle armi e della conseguente violenza?
Quello che emerge dalla puntata è che i cittadini non si limitano a comprare una semplice pistola, basica, giusto in caso di necessità. Assolutamente no. Le persone comprano fucili, mitra e chi più ne ha più ne metta. Viene mostrata anche una foto di un letto in vendita con dei cassettoni pensati per contenere un arsenale.
Da cosa sono spinti gli americani? Se hanno così tanta paura di venire aggrediti da doversi armare fino ai denti, perchè non chiedono politiche più severe in materia di sicurezza e di pene contro i crimini? Hanno così tanto poca fiducia nelle istituzioni e nella polizia da pensare che fare da sè fa per tre?
Non possiamo essere così semplicisti, sebbene anche questi siano fattori da non sottovalutare. Tuttavia, non solo radici storiche e giudiziarie, ma sicuramente altri fattori rendono così ben radicata e venerata il culto/cultura delle armi. Tutto ciò si porta dietro un bagaglio socio-culturale, ma anche simbolismo e mitologia che portano a considerare le armi come la maggiore forza motrice dell’America. Senza scordarci che in alcune regioni statunitensi, il possedere pistole da parte dell’uomo bianco serve per identificarlo come non-schiavo. Al contempo, per le persone di colore, tutto ciò serve per portare tutti sullo stesso piano, poiché tutti ne hanno una.
Il possesso e l’uso delle armi sembra prescindere, in una certa misura, dall’inefficienza del sistema politico-giudiziario americano. Fosse solo questo il problema, forse si cercherebbero soluzioni alternative a livello governativo. Ma l’americano possessore di armi non vuole trovare una soluzione, o meglio, ce l’ha già. Non gli interessano leggi restrittive, anzi, ne vorrebbe di più permissive sull’uso delle armi.
Sicuramente il secondo emendamento ha contribuito, nei secoli, a creare questa visione e questa cultura. Tuttavia, ad oggi, la maggior parte della popolazione americana non è intenzionata a cambiare rotta. Nonostante ogni giorno muoia almeno una persona in uno scontro con armi da fuoco. E questo ci parla di quanto non basta cambiare un emendamento per fare la differenza, bisogna cambiare la mentalità degli americani.
Sicuramente, qualcuno potrebbe dire che iniziare dalla legge sarebbe sicuramente un primo passo, e dire ciò potrebbe non essere sbagliato. Tuttavia, è come costringere un tossico a disintossicarsi: finchè non sarà il primo a volerlo, tutto ciò che accade intorno a lui può essere di aiuto soltanto relativamente.
La politica americana si è sempre limitata a esprimere cordoglio per questi eventi concepiti sempre come tragedie inevitabili ed inaspettate e sulle quali si possa fare ben poco per intervenire, ignorando il potere, invece, che potrebbe avere una gestione differente dei fattori scatenanti delle sparatorie. Emarginazione, problemi sociali, problemi psicologici e facilità d’accesso alle armi, sono questi, generalizzando, gli elementi che contribuiscono a questo fenomeno. In genere i ragazzi che effettuano sparatorie vengono definiti semplicemente dei pazzi, senza indagare il perchè siano giunti ad un gesto così estremo, senza mai domandarsi cosa si possa fare nel concreto per andare a ridurre questi eventi.
Per il Massacro della Columbine si è voluto addirittura additare la colpa alle canzoni di Marilyn Manson, Nine Inch Nails, Rammstein, oppure a film come Natural born Killers.
Nessuno ha pensato di dare la colpa, però, alle scarse e inefficienti politiche di gestione della salute mentale per i cittadini o alla facilità con cui si possono reperire le armi, specie online. E sì, è vero, i minorenni non dovrebbero comprarle, anche se, per esempio, in Minnesota alcune di queste possono essere acquistate già a quattordici anni, inoltre è così facile aggirare i sistemi. Farsele comprare da altri, fornire dati falsi e chissà quanti altri metodi ci saranno da escogitare. Anche l’obbligo da parte dei commercianti di venderle a persone non schedate è altamente fallimentare, perché il non essere schedati non significa che non si stia acquistando un’arma con l’intenzione di fare del male.
Oggigiorno le scuole americane si sono dotate di metal detector, perchè è l’unico modo che hanno per evitare sparatorie. Dopo la strage all’High School di Parkland, sempre come si vede nella puntata di Today, Emma Gonzales, una delle sopravvissute e oggi attivista, mette in luce uno dei principali problemi al contrasto alla diffusione delle armi: ovvero il tornaconto economico. Nel suo discorso, rivolgendosi al presidente in carica, chiede, retoricamente, quanti soldi abbia ricevuto dalla NRA ( National Rifle association- associazione nazionale delle armi) dicendo di saperlo già, ben 30 milioni, che, diviso per il numero delle vittime da armi da fuoco nel primo mese del 2018 fanno 5.800 dollari a persona. E’ questo il valore che l’America dà ai suoi cittadini.
Il massacro della Columbine è diventato particolarmente celebre, oltre che per la sua atrocità, per altri due motivi:
- E’ il primo massacro compiuto ad opera di studenti. Prima di questo si segnala il massacro della Bath School compiuto ad opera di un dipendente e un altra strage avvenuta in un istituto scolastico inglese, ma sempre per mano di un uomo adulto.
- Dopo il Massacro della Columbine si sono verificate altre sparatorie, molto violente e spesso ad opera di studenti. Come viene sottolineato nella puntata del 26/10/2018, solo nel primo mese dell’anno, si sono verificate ben 18 sparatorie nelle scuole americane.
Questo articolo potrebbe sembrare dall’aspetto troppo saggistico e magari anche un po’ eccessivo o fuori luogo per un blog di cinema e teatro. Vorrei concludere con una considerazione generale sulla settima arte, che non è sempre e solo necessariamente tecnica, emozione ed intrattenimento. I film sono lo specchio della vita. In alcuni casi, parlare di cinema serve per parlare di vita, talvolta, al contrario, parlare della vita serve per parlare del cinema.
Parlare di Elephant significa parlare di cinema e vita.
Leggi anche: Bowling for Columbine – United States ed il culto della armi
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