Film del 1969, Il clan dei siciliani, diretto da Henri Verneuil, è una pellicola francese divenuta col tempo un cult per una serie di ragioni. La regia tagliente in un noir e action movie stile anni Sessanta, la triade formata da Alain Delon, Jean Gabin e Lino Ventura e la famosa colonna sonora di Ennio Morricone.

Tali elementi fanno dell’opera di Verneuil un prodotto commerciale che, tuttavia, cela una profonda analisi psicologica dei tre personaggi principali, tutti facenti parte di quello storico filone che è il giallo poliziesco. Tratto dal romanzo di Auguste Le Breton, Il clan dei siciliani (Le Clan des Siciliens) è uno sguardo in più sulla criminalità organizzata, quella mafiosa innanzitutto, che si è esportata in tutta Europa e in tutto il mondo.
Anche in Francia ha fatto fortuna, e Verneuil, anni prima de Il padrino di Coppola, guarda a quel mondo familiare con un’attenzione tipicamente francese, forse meno cruenta ma senza lasciare spazio al mito.
Il clan dei siciliani – La trama
Alain Delon interpreta Roger Sartet, uno spietato criminale che, durante il tragitto dalla prigione al patibolo, riesce a fuggire grazie all’aiuto della famiglia Malanese. Quest’ultima, a cui fa capo l’anziano Vittorio (Gabin), si vuole servire di Sartet per portare a termine una rapina a dei gioielli custoditi a Roma, con più precisione nel palazzo di Villa Borghese.
Dall’altra parte c’è il braccio della legge, rappresentato da Lino Ventura nei panni del commissario Le Goff, il quale, seppur con grande difficoltà, è sempre sul punto di riacciuffare Sartet. Le Goff, inoltre, è completamente ignaro del fatto che il pericoloso criminale lavori per la famiglia Malanese, e lo scoprirà solo alla fine.

Infatti, dopo il colpo, riuscito secondo i piani, ciascuno dei partecipanti fa ritorno alla propria tana nell’attesa che si calmino le acque. Tuttavia, Vittorio scopre che la bella Jeanne (Irina Demik), moglie di suo figlio Aldo, ha avuto una relazione segreta con Sartet. Vittorio lo fa rientrare in Francia con la scusa di consegnargli personalmente la sua ricompensa e invece, per lavare l’offesa ricevuta da Sartet, lo fredda a colpi di pistola; la stessa fine toccherà anche a Jeanne.
Il capofamiglia torna a casa, pensando di aver messo a posto le cose. Ma ad attenderlo c’è proprio Le Goff che, dopo aver scoperto il grande mistero, è accorso a casa sua per arrestarlo.
Un classico francese dal sapore italiano
Il clan dei siciliani scruta in maniera diversa, e forse più sofisticata, una delle cose più tipiche italiane esportate in tutto il globo. La mafia è, secondo l’occhio di Verneuil, una famiglia di persone tranquille, tutte di bell’aspetto, che si amano e si rispettano reciprocamente. Giusto l’accento, nella versione italiana, fa un po’ la differenza, ma sennò questi “siciliani” sembrano davvero francesi sia nel modo di vivere che in quello di vestire.
Il film è, in effetti, un flop dal punto di vista antropologico. Si salvano forse Leopoldo Trieste e Amedeo Nazzari, i quali restituiscono un po’ di autentica italianità. Per il resto bisogna lasciarsi trasportare dall’immaginazione e dalla volontà del regista che, tutto sommato, riesce a realizzare un noir mozzafiato. Forse non è un film invecchiato benissimo e probabilmente ci sono film migliori che trattano lo stesso argomento.
Il clan dei siciliani è un’opera di culto fossilizzata in un periodo storico all’interno del quale gli attori restano incastrati nella macchietta, lasciando da parte il realismo che i noir di una volta non cercavano. Tuttavia, le interpretazioni di Gabin, Delon e Ventura sono a dir poco eccezionali e sottolineano tre diversi modi di recitare. C’è il vecchio cinema francese, quello di Gabin, quello più giovane di Ventura e poi il nuovo cinema d’oltralpe rappresentato proprio dall’esuberanza di Delon. In loro si delineano tre diverse tipologie di psicologia umana. Da una parte c’è la figura del vecchio Malanese, un capobanda giunto al termine della sua carriera che, nonostante l’età e tutto il resto, non vuole andare in pensione né dividere il suo vasto impero con Sartet. Egli, invece, è un puledro imbizzarrito che, probabilmente, non riuscirà mai ad essere domato.

Sartet, alias il bello e intrigante Delon, rappresenta il classico giovane che non vuole piegarsi agli ordini dei superiori né diventarne un esemplare. È proprio la stessa natura selvaggia di Sartet a metterlo continuamente nei guai fino alla sua morte. E infine c’è Le Goff: il personaggio di Lino Ventura è un uomo che cerca continuamente di smettere di fumare. Anche lui è una reliquia ma, al contrario di Vittorio e Sartet, Le Goff sta esattamente nel mezzo. Egli ha il raziocinio e la pacatezza della maturità di Vittorio ma anche l’astuzia e l’esuberanza del giovane Sartet. Ventura impersona il classico poliziotto che, sebbene cada spesso nelle trappole dei suoi nemici, alla fine riesce ad incastrarli; perché come insegna il caro Tenente Colombo, la prima regola di un buon ispettore di polizia è la pazienza.
Oltre a ciò, è bene porre l’attenzione sulle colonne sonore composte dal maestro Morricone. Il compositore, come spiega nel recente documentario di Giuseppe Tornatore intitolato Ennio, parla di come sia stata ardua e complessa la realizzazione delle musiche del film di Verneuil, in particolar modo il tema principale. Composto da pianoforte, flauti, archi e marranzani, la melodia di Morricone, tra le sue più belle e iconiche, nasconde un segreto, celato dietro alle quattro note che vanno a comporre il tema e che, una volta messe in fila, formerebbero un nome: BACH. Questo si rifà al famoso Tema BACH, composto dalle sequenze di note Si bemolle, La, Do e Si naturale. Tema, questo, usato da Morricone e da altri celebri compositori che hanno voluto rendere omaggio al grande musicista tedesco.