A poco tempo di distanza dall’uscita nelle sale di Assassinio sul Nilo, torna sul grande schermo Kenneth Branagh con Belfast. L’osannato regista di bellissime opere come Enrico V, Hamlet, L’altro delitto e Frankenstein di Mary Shelley, realizza la sua opera più personale.
Belfast è infatti un vero e proprio Amarcord fiabesco e struggente dal sapore neorealista ambientato nella Belfast del 1969, anno di violente proteste scaturite da una vera e propria guerra civile che contrapponeva cattolici e protestanti. Nel film, candidato a ben sette premi Oscar, si raccontano le vicissitudini di una famiglia irlandese protestante come tante, alla quale cambierà la vita in peggio a causa del conflitto che scoppierà nel proprio paese natìo.
Buddy (Jude Hill), il figlio più piccolo, è il vero protagonista della pellicola in questione, e si può considerare come l’alter ego dello stesso Branagh. Belfast è figlio di capolavori assoluti della Settima Arte come Nuovo cinema Paradiso, Amarcord, Radio Days e il più recente È stata la mano di Dio di Sorrentino. Tutti lungometraggi in cui autori hanno raccontato magistralmente una parte molto significativa della loro giovinezza.
Branagh in questa sua ultima fatica elogia la famiglia, la diversità e intrinsecamente comunica al pubblico che certe volte ci vuole più coraggio a stare fermi che a muoversi. Inoltre, durante la vicenda si vede che nonostante tutte le cose negative che lo circondano, Buddy riesce a non perdere la gioia di vivere. Questo perché l’infanzia è più forte della guerra. Come asseriva lo scrittore francese Charles Péguy infatti: “Una grazia unica riposa sull’infanzia, riposa su ogni bambino.”
Il cast di Belfast è particolarmente azzeccato. Oltre al bravissimo Jude Hill abbiamo un’intensa Catríona Balfe nei panni della madre, Ciarán Hinds nel ruolo del nonno, una monumentale Judi Dench in quello della nonna e Jamie Dornan. Quest’ultimo, scevro da qualsivoglia machismo, suggella tutto il suo talento, dimostrando di essere maturato molto dopo la trilogia delle 50 sfumature.
Belfast ha anche il grande merito di ricordare allo spettatore l’importanza incontrovertibile delle persone appartenenti alla terza età, categoria ignobilmente ostracizzata nella società odierna. Branagh si serve di una colonna sonora stupenda che annovera pezzi del calibro di Down To Joy di Van Morrison, Caledonia Swing, Real Love di Ruby Murray, Everlasting Love dei Love Affair e tanti altri.
L’acclamato regista britannico non si dimentica di omaggiare intramontabili capolavori in celluloide del calibro di Mezzogiorno di fuoco, L’uomo che uccise Liberty Valance, Chitty Chitty Bang Bang e Orizzonte perduto.
Il seguente aforisma del compianto filosofo fiorentino Nicolò Machiavelli risulta decisamente pertinente col significato di Belfast: “La guerra è una professione con la quale un omo non può vivere onorevolmente; un impiego col quale il soldato, se vuole ricavare qualche profitto, è obbligato ad essere falso, avido, e crudele.”
In definitiva consiglio caldamente a tutti voi la visione di questo gioiellino da vedere e rivedere. Quest’ opera ricorda a tutti noi che la religione deve migliorare la qualità della vita, non peggiorarla. Per di più Branagh ci mette di fronte ad una grande verità: ovvero che alcune volte per andare avanti nella vita è necessario abbandonare la propria Belfast.
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