Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno – Quando Monicelli tornò nel Medioevo

Dopo l’exploit dell’Armata Brancaleone e quello di Brancaleone alle crociate, nel 1984 Mario Monicelli fece un’altra incursione nel Medioevo, realizzando Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.

Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984).
Ugo Tognazzi e Mario Monicelli durante le riprese di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.

La storia, tratta dal libro di Giulio Cesare Croce, già portata sul grande schermo prima nel 1936 e poi nel 1954, vede come protagonista Bertoldo (Ugo Tognazzi), un villano che vive in una palude con la moglie Marcolfa (Annabella Schiavone) e l’ingenuo figlio Bertoldino (Maurizio Nichetti). Un giorno Bertoldo, per merito della sua intelligenza, entrerà nelle grazie del re Alboino (Lello Arena). Quest’ultimo, infatti, rimarrà letteralmente rapito dalla sua sagacia, tanto da volerlo ricompensare.

Successivamente, quando Bertoldo torna a casa, scopre che la moglie ha ceduto a un certo Fra Cipolla (Alberto Sordi) una coperta e un fiasco di vino in cambio di una penna, a detta del frate, miracolosa. Seguiranno, naturalmente, molteplici peripezie.

Il regista di Amici miei e Un borghese piccolo piccolo mette in scena un periodo storico funestato dalla miseria e dall’ignoranza; un’epoca nella quale era più che mai necessaria la cosiddetta “arte di arrangiarsi” per non soccombere. Bertoldo, effettivamente, ne è l’emblema e lo si può considerare l’archetipo di un certo modo di essere italiani.

Tognazzi, uno degli interpreti maggiormente multitasking del nostro cinema, è straordinario nei panni di questo bifolco attaccato morbosamente al suo stato di indigenza, tanto da rifiutare l’invito a corte da parte del re pur di rimanere a vivere nella sua palude. Lello Arena offre una performance memorabile, incarnando un monarca dozzinale e sanguinario che non esita un attimo a far tagliare la testa a qualche povero malcapitato. Poi c’è Sordi, il quale interpreta magistralmente un uomo di chiesa che vive di espedienti. Anche il resto del cast risulta azzeccato.

Nonostante il macchiettismo di genere della pellicola, dal quale gli interpreti molto spesso non riescono a liberarsi, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno è un film ingiustamente sottovalutato. L’opera offre allo spettatore diverse chiavi di lettura. Le vicissitudini di Bertoldo, del figlio e del resto della banda, infatti, non hanno niente da invidiare a quelle del più celebre Brancaleone da Norcia, interpretato da un memorabile Vittorio Gassman. In entrambe le opere si ironizza in maniera esilarante su un mondo lontano ma allo stesso tempo noto e vicino a noi.

Monicelli, con l’ausilio degli sceneggiatori Leo Benvenuti, Suso Cecchi D’Amico e Piero De Bernardi, fa di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno una parabola che rivela una grande verità. Ovvero che la ricchezza non è fatta per tutti. Bertoldo infatti quando andrà a vivere alla corte del re Alboino comincerà a stare male a causa della nostalgia per la sua amata palude. Diventando nobile è come se Bertoldo avesse perso quella libertà che costituiva di fatto la sua ricchezza. Di conseguenza, paradossalmente, Bertoldo diventa povero nel momento in cui diventa ricco

Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno è un film del 1984 diretto da Mario Monicelli e interpretato da Tognazzi e Sordi.
Maurizio Nichetti nei panni di Bertoldino.

Le parole dello scrittore Fabrizio Caramagna riassumono il senso della pellicola di Monicelli: “C’è un’angoscia del vuoto, ben conosciuta. Ma c’è un’angoscia del pieno, diffusa soprattutto tra i ricchi, l’angoscia del viaggio da fare, dell’auto di lusso da comprare, del caviale da mangiare, l’angoscia di avere tutti quei soldi e non sapere come spenderli e sentirsi quasi soffocato”.

In definitiva non potete perdervi l’ennesimo gioiellino del maestro Monicelli. Sono sicuro che riderete a crepapelle con il grammelot che Tognazzi inventa per caratterizzare il suo Bertoldo. E ricordatevi che “Quando il culo è avvezzo al peto, non si può tenerlo cheto”.

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