Signore & signori – Pietro Germi smaschera la borghesia del dopoguerra

Tra le commedie all’italiana maggiormente riuscite degli anni ’60 è doveroso menzionare Signore & signori, un vero e proprio gioiellino diretto da Pietro Germi. Il compianto regista genovese in quello che si può definire come il terzo capitolo della sua trilogia satirica cominciata con Divorzio all’italiana e proseguita con Sedotta e abbandonata, mette alla berlina la borghesia del dopoguerra.

Signore & signori è ambientato nel veneto e vede come protagonisti un nutrito gruppo di commercianti e professionisti facoltosi che dietro le loro esistenze apparentemente votate alla rettitudine celano non pochi scheletri nell’armadio. In questo campionario di un’umanità corrotta e improntata all’omologazione spiccano tre storie strutturate, per merito di Ennio Flaiano, allo stesso modo di un romanzo suddiviso in tre capitoli. Nel primo vediamo come protagonisti Toni Gasparini (Alberto Lionello), il dongiovanni per antonomasia del gruppo, e il dottor Castellan (Gigi Ballista). Il primo confesserà all’amico di essere impotente da più di un anno. Castellan non perderá l’occasione di sbeffeggiare Gasparini ad una festa, facendolo diventare lo zimbello di tutti. Seguirà un colpo di scena memorabile.

La seconda vicenda, nonché la più riuscita, ha come protagonista il ragionier Osvaldo Bisigato (Gastone Moschin), un uomo di mezz’età totalmente rassegnato ad una vita monotona e priva di guizzi accanto all’insopportabile moglie Gilda che non perde occasione per umiliarlo e per screditarlo di fronte ai figli. Si scoprirà però che Osvaldo è segretamente innamorato dell’eterea Milena (Virna Lisi), la giovane cassiera del bar sotto casa. Quando i due troveranno il coraggio di amarsi alla luce del sole l’opinione pubblica non li perdonerà, amici compresi.

Infine nell’ultimo capitolo della pellicola in questione vediamo una bella e giovane ragazza di campagna di nome Alda (Patrizia Valturri), la quale, pur di ottenere quello che vuole, non esita ad andare a letto con uomini borghesi di una certa età. Successivamente il padre di Alda, che si scoprirà avere sedici anni, denuncerà tutti per corruzione di minore.
Signore e signori, selezionato nella prestigiosa lista dei 100 film italiani da salvare, è una di quelle opere ancora oggi attuali. Nella società odierna come in quella di allora infatti alcune classi sociali sono fagocitate dall’ipocrisia.

Pietro Germi mette in scena individui cinici ed egoisti che si preoccupano prevalentemente del giudizio altrui. La realtà è che, nonostante l’agevolezza economica e le posizioni di prestigio ricoperte da queste persone, esse sono a loro modo delle vittime del sistema. Infatti nonostante siano protetti sistematicamente da istituzioni politiche, ecclesiastiche ecc… Questi borghesi piccoli piccoli sono destinati ineluttabilmente alla massificazione.

La mosca bianca del film è il ragionier Osvaldo Bisigato, interpretato magistralmente da un Gastone Moschin che cambia registro con una disinvoltura veramente ammirevole. Bisigato è l’unico a cui dentro di sè è rimasta intatta quella purezza che gli consentirebbe di essere felice. Ma suo malgrado si trova in un periodo storico in cui l’adulterio è tacitamente consentito mentre la separazione non è socialmente accettabile. Lionello, Ballista, Fabrizi e gli altri risultano azzeccatissimi nei rispettivi ruoli. Riescono infatti ad infondere ai personaggi che incarnano la giusta dose di pateticità e superficialità.

Uscito al cinema nel 1966, Signore & signori vinse l’ambito Grand Prix per il miglior film al Festival di Cannes in ex aequo con un uomo, una donna. La sceneggiatura fu scritta, oltre che dallo stesso Germi, da Age & Scarpelli, da Ennio Flaiano, che non venne accreditato, e da Luciano Vincenzoni. Quest’ultimo, intenzionato ad esordire nella regia con un film sulla provincia, aveva raccolto appunti su fatti accaduti a Treviso, sua città natale. Germi, entusiasta del materiale raccolto da Vincenzoni, suo sceneggiatore di fiducia, entrò nel progetto e divenne lui stesso il regista.

Il seguente aforisma del celeberrimo filosofo statunitense Herbert Marcuse risulta essere fortemente correlato con il significato di questo capolavoro tutto italiano: “Vivere nella realtà significa per la società borghese avere soltanto piaceri limitati e differenti ed ottenere sicurezza in cambio d’infelicità e di continue inibizioni.” Dopo aver visionato la pellicola vi accorgerete che essa non è popolata né da signore né tantomeno da signori. D’altronde, come disse l’immortale Totò: “Signori si nasce, ed io modestamente lo nacqui.” Ebbene, non è il caso di questi squallidi borghesucci di provincia.


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