Non poteva che venire a Pupi Avati l’idea di girare un film su Dante Alighieri. Sì perché l’intramontabile regista bolognese non è nuovo a imprese cinematografiche folli e coraggiose. Avati nel corso della sua lunga carriera ha affrontato i generi più disparati, passando con disinvoltura dal gotico al dramma sentimentale. Dante lo si può considerare come la summa della Settima Arte avatiana. Quest’ultima fatica del regista di La casa dalle finestre che ridono e Regalo di Natale racconta la vita di colui che è considerato il padre della lingua italiana. Status riconosciutogli soprattutto per merito della realizzazione de La Divina Commedia, universalmente considerata come la migliore opera scritta in lingua italiana.
Il genio di Avati sta nel far raccontare le tappe fondamentali della vita di Dante Alighieri a Giovanni Boccaccio, un altro grande scrittore italiano che amava la poetica dantesca con tutto se stesso. Tanto da comporre nel 1362 il Trattatello in laude di Dante, una delle prime biografie sulla vita dell’Alighieri.
In Dante infatti vediamo un anziano Boccaccio afflitto dalla scabbia fare un viaggio da Firenze a Ravenna con lo scopo di portare dieci fiorini d’oro a Suor Beatrice, figlia del Vate. Gesto intento a risarcire simbolicamente la famiglia Alighieri dopo il trattamento vergognoso riservato al poeta da parte di Firenze; rea di averlo esiliato a causa delle sue idee politiche ostili al Papa.
Nel corso di questo viaggio compiuto da Boccaccio vediamo numerosi flashback che ripercorrono la vita di Dante. Avati riesce nell’impresa titanica di realizzare un film biografico su una figura di tale portata senza tradire se stesso. Non mancano a tal proposito sequenze squisitamente avatiane popolate da individui naïf e da corpi e visi deformi. Sergio Castellitto infonde in Boccaccio un’umanità commovente. Per certi versi l’autore del Decameron nel film sembra l’alter ego di Avati. Entrambi sono due artisti che riconoscono la grandezza inarrivabile di un loro collega.
Alessandro Sperduti nei panni del protagonista è magistrale, in quanto riesce a restituirci tutta la straordinaria sensibilità del poeta senza però mitizzarlo o peggio ridurlo a santino. La stessa Carlotta Gamba nei panni di Beatrice merita un elogio. Questa talentuosa attrice torinese, vista di recente nell’America Latina dei fratelli D’Innocenzo, dosa sapientemente la dolcezza e il fascino, regalando allo spettatore un personaggio carico di sensualità e candore. Completano il cast attori feticci di Avati come il compianto Gianni Cavina, Milena Vukotic e Alessandro Haber per citarne alcuni.
Non è vero, come hanno detto i detrattori, che il film su Dante è un’opera didascalica che non crea empatia col pubblico. Non so che film abbiano visto questi signori. La pellicola in questione invece è un racconto appassionato e viscerale che non manca di osare. Alcune scene sono crude mentre altre risultano fortemente struggenti. Da un certo punto di vista quest’opera la si può definire come la genesi de La Divina Commedia. Nel corso della vicenda infatti vediamo l’Alighieri crearsi un bagaglio personale che sarà la base da cui partire per realizzare il capolavoro che tutti, chi più chi meno, conosciamo.
Il seguente aforisma dell’indimenticato drammaturgo italiano Alberto Moravia risulta decisamente correlato col significato più recondito di Dante: “La poesia è come l’acqua nelle profondità della terra. Il poeta è simile a un rabdomante, trova l’acqua anche nei luoghi più aridi e la fa zampillare.”
Consiglio dunque vivamente a tutti voi di andare al cinema. I vostri occhi devono trovar l’ardire di guardare questa ennesima perla del maestro Pupi Avati. Capirete l’importanza di affrontare un periodo storico ostico come il Basso Medioevo con l’ausilio de L’alta fantasia.
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