Il soggetto di Predator (1987) è scritto da Jim e John Thomas, per una trama semplice quanto solida, che nelle mani di John McTiernan riesce a sfondare al botteghino, prima, e nella cultura pop, poi. Senza esagerare nei dettagli per spiegare ciò che è già noto a tutti:
L’Ex maggiore dei berretti verdi Dutch Schaefer (Arnold Schwarzenegger) giunge insieme alla sua squadra in una base militare nella giungla dell’America centrale, con sé il suo plotone: Billy (Sonny Landham), Mac (Bill Duke), Blain (Jesse Ventura), Poncho (Richard Chaves) e Hawkins (Shane Black). Qui incontrano il maggiore George Dillon (Carl Wheathers), ormai agente della CIA, che indica loro la missione: superare il confine a piedi, salvare degli ostaggi e poi tornare indietro per l’estrazione. Informati della sua partecipazione si mettono tutti e sette i nostri protagonisti troveranno l’accampamento dei nemici, eliminano tutti e trattengono un ostaggio: la giovane Anna (Elpidia Carrillo).
Dopo uno scambio di battute veloce si comprende che Dillon ha sfruttato i nostri per distruggere questo accampamento, per un lavoro del genere servivano “i migliori”, appellativo al quale la squadra risponde perfettamente. Da lì in poi il nuovo avversario è il Predator (Kevin Peter Hall) stesso, cacciatore alieno che li ammazza uno dopo l‘altro per poi venire sconfitto in uno scontro uno contro uno con Schwarzenegger in un campo ben imbastito di trappole da quest’ultimo. Il film termina con mister Olimpia e Anna che sopravvivono ad un’esplosione prodotta da un congegno sul braccio della creatura, ultima speranza per l’alieno di eliminare i suoi nemici.
L’Alieno, detto Predator
Cosa dire del Predator? Attenendoci solo a ciò che è presente nel film la creatura è terrificante. Kevin Peter Hall, con i suoi 2 metri e venti riesce a portare l’impressionante costume, progettato da Stan Winston, a perfezione, I suoi movimenti sono a metà tra quelli di un rettile e di un guerriero Inca realizzando il cacciatore per eccellenza. La creatura incarna il gusto per la caccia, una forza della natura che sfida gli avversari che reputa degni (non va dimenticato che non attacca persone disarmate e animali). Da un lato l’armatura e i congegni fantascientifici e letali, dall’altra l’ancestrale abilità da cacciatore e la brutale tendenza a rispettare il nemico attraverso l’immagine del trofeo coniugate con le dimensioni leggermente sovraumane, il costume perfettamente realizzato e il tocco di McTiernan fanno si che il primo Yautja mai visto nella storia del cinema crei in chi lo guarda tensione e ammirazione.
“La foresta si è animata e lo ha rapito”
La messa in scena manca del tocco di genio ma la magistrale tecnica di tutto lo staff quadra e piace. Il regista al suo solo secondo film dimostra di essere un grandissimo tecnico capace di trasmettere ciò che vuole dire, prodotto con 15 milioni di dollari (budget moderato per un action movie di serie A) ma premiato incassando 10 volte tanto. Il regista di Nomads decide di metter su un gioco di tensione: il film incomincia con un vero e proprio indizio. Prima dei titoli di testa, vengono presentati in maniera affascinante i due veri protagonisti: ci viene mostrata una nave spaziale che lancia una sonda con il nostro Predator sulla terra mentre compare il nome di Schwarzenegger sullo schermo. Di indizio si può parlare perché non incontreremo la creatura prima di 40 minuti e non la vedremo intera per altri 10, unica cosa che ci ricorda del cacciatore sono alcuni controcampi con una fotografia simile agli infrarossi che disorientano e alimentano il timore del sempre presente antagonista.
Le musiche, composte da Alan Silvestri, accompagnano quello che sembra essere il classico film muscolare e si opacizzano nel momento in cui guardiamo attraverso il visore dell’alieno e, quando la sua presenza si fa più forte, i tamburi e gli ottoni vengono brillantemente sostituiti da note molto più tribali. La fotografia di Donald M. McAlpine è spettacolare, riesce a riportare la giungla sia di notte che di giorno in una maniera più che onesta, i verdi di giorno fanno da sfondo a delle tonalità blu che l’attraversano. Il contrario avviene di notte, dove il blu prende corpo grazie alla vegetazione che l’invade.
Il regista sfrutta la camera in una maniera meravigliosamente tecnica: i campi lunghi verso la giungla sono utilizzati nei momenti in cui si dubita che qualcosa vi si annidi dentro; quando la presenza dell’alieno diventa nota ai protagonisti quanto lo è a noi, e ci viene rivelato il suo design, la camera fa un passo laterale, non è più attaccata ai nostri ma lascia alla giungla lo spazio che merita nella scena. Anche se la nostra curiosità di vederlo è stata soddisfatta, la tensione però si infittisce, siccome ora, tra noi e i protagonisti, compare viva la vegetazione, luogo dove il Predator può facilmente occultarsi.
Cinema Muscolare sì … ma che fa l’occhiolino
Predator contiene tutti i canoni del cinema muscolare classico degli anni ’80: i personaggi sono militari eccezionali e con fisici scultorei, i muscoli sono sempre ben messi in risalto e non mancano i primi piani con battuta annessa. Il regista non solo riesce però a concedere una profondità ed una caratterizzazione a questi personaggi – già dalla prima scena le forti differenze tra gli outfit dei nostri ci lasciano intendere le forti differenze, poche linee di dialogo e ottime inquadrature fanno il resto.
Gli attori per il resto sono stati finemente ricercati dal regista: tutti avevano un passato militare – o quanto meno interpretato già quel ruolo al cinema. Tutti perfettamente in parte e ben affiatati, i protagonisti appaiono tutti credibili nelle mani del nostro McTiernan. Occhiolino ma perché? Il film inizia con una critica al militarismo, Dutch precisa subito che loro non sono assassini, battuta tagliente che vuole appunto creare distacco tra loro e l’esercito regolare americano. La fiducia del gruppo verso Dillon è già zoppicante a causa del suo lavoro nella CIA, peggiora nel momento in cui si rendono conto di essere stati sfruttati per distruggere l’accampamento nemico. Essere soldati significa essere “solo pedine sacrificabili” come dirà lo stesso Dillon e questo ai nostri non piace, e il regista non lo fa piacere nemmeno a noi infrangendo subito l’epicità del soldato che questo genere comporta.
Da qui in poi il film attaccherà a bocca chiusa l’uomo come cima della catena alimentare. Il predatore, con il suo comportamento animale, metterà alle strette e annienterà il plotone, membro dopo membro. Di fronte al cacciatore le armi dell’uomo, il nostro prodigio tecnologico, sono inutili: dopo la morte di Blain (Jesse Ventura), viene costruita una scena incredibile, per oltre un minuto si spara alla giungla. Ognuno arriva e svuota il proprio caricatore contro il verde, quasi 50 inquadrature per dimostrare la furia e la distruzione che scagliano i nostri, la telecamera è ovunque, ne riprende l’arrivo singolarmente, l’arma, il fuoco, i danni alla vegetazione ma il tutto termina in una giungla ancora in piedi, nel cadavere del proprio amico ancora lì e con un tragico “abbiamo colpito al niente”.
Il Predator verrà sconfitto solamente quando Schwarzenegger diverrà un tutt’uno con la natura e sconfiggerà il mostro al suo stesso gioco. Lo Yautja è questo, la natura che noi possiamo continuare a colpire, contro cui possiamo continuare a vantare il massimo della nostra ingegneria distruttiva, le complesse macchinazioni di pedine sacrificabili, ma alla fine, quei colpi esplosi verso il niente, impatteranno solo contro chi li spara.
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