Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer – Recensione della miniserie Netflix

Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è una miniserie uscita il 21 settembre 2022, prodotta e distribuita da Netflix. Con protagonista Evan Peters, la serie è stata ideata da Ryan Murphy, regista di American Horror Story. Dahmer ha sollevato diverse polemiche che stanno facendo discutere il web.

Si tratta della storia vera di Jeffrey Dahmer, un serial killer autore di 17 omicidi tra il 1977 e il 1991. Al di là delle polemiche scialbe, le critiche principali alla serie sono legate a una visione unilaterale della storia, ovvero quella dell’assassino. Le famiglie delle vittime non sembrano essere state interpellate per realizzare la serie e la storia viene narrata dal punto di vista di Jeff Dahmer, accompagnata da un tacito senso di compassione per lui.

In realtà, questo è vero solo in parte. O meglio, è vero solo per la prima parte della serie. Negli ultimi episodi, la serie si preoccupa di mettere in luce alcune tematiche che vanno oltre alla versione raccontata da Dahmer. Ma andiamo con ordine.

Dahmer – La serie

Da un punto di vista prettamente tecnico, evitando porci domande etiche, Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è una gran bella serie. Non a caso è in cima alle classifiche di Netflix a solo due settimane dall’uscita. Dahmer è una serie che racchiude al suo interno il true crime; genere al momento molto in voga che mescola l’horror e il drama. Quella in questione è una serie che spazia anche tra tematiche tanto discusse su Netflix quali razzismo e omofobia.

Gli attori fanno un gran lavoro a iniziare da Evan Peters, nei panni di Jeff Dahmer, che è ormai abituato a realizzare questo tipo di personaggi e non delude mai. Per quanto riguarda la narrazione, la storia è accattivante- Essa è una rappresentazione non lineare da un punto di vista cronologico che ravviva la trama e l’attenzione del pubblico. La sceneggiatura si preoccupa di raccontare, in modo equilibrato, gli eventi prima, dopo e durante il periodo degli omicidi. Gli episodi sono 10 da circa 50 minuti l’uno, e la serie non risulta mai lenta: si guarda tutto d’un fiato.

Dahmer – Il punto di vista

Sempre lasciando da parte un discorso etico, a mio parere non ci sarebbe stato male un po’ di splatter, che è invece totalmente assente. C’è un silenzio totale sul come Dahmer uccideva e su cosa facesse ai cadaveri, talmente totale che si creano alcune incomprensioni narrative. Guardando la serie, infatti, non si capisce che Dahmer stuprava e mangiava i cadaveri e che, prima di uccidere le sue vittime, tentava su di loro degli esperimenti simili a lobotomie. Questo, può essere una forma di rispetto nei confronti delle vittime e degli spettatori, ma fa si che empatizzare con l’assassino sia più semplice, perché non si comprende la gravità delle sue azioni.

Inoltre, considerando che sia Evan Peters che Ryan Murphy sono diventati famosi con American Horror Story, e che tra l’altro in una delle sue stagioni Murphy aveva già portato sullo schermo la storia di Dahmer, personalmente mi aspettavo che la miniserie fosse molto più sadica e horror-splatter e molto meno seria. Invece, Dahmer – Mostro tocca temi molto delicati, a mio parere con grande rispetto di tutte le parti in causa. Certamente rimane una versione della storia che non può ritenersi né veritiera, perchè chiaramente romanzata, né imparziale, perchè viene dato più spazio alla versione narrata dal carnefice. Ma questa è anche una scelta obbligata, visto che le vittime non possono parlare e l’unica versione che si ha dei fatti è, appunto, quella riportata da Dahmer.

Le tematiche trattate – il razzismo

Una delle tematiche principali che accompagna la serie è quella del razzismo. Le vittime di Dahmer erano tutti giovani uomini afro americani o asiatici e per questo la polizia lo lasciò agire indisturbato per più di dieci anni. Dahmer viveva in un quartiere povero di afro americani dove i poliziotti non rispondevano neanche alle chiamate. Murphy mette bene in evidenza come la vicina di casa di Dahmer, Glenda, una donna nera, avesse chiamato innumerevoli volte la polizia per segnalare urla e odori di corpi in decomposizione ma senza mai essere ascoltata.

In particolare, la polizia era accorsa una sera in cui era stato ritrovato un ragazzino nudo e in stato confusionale davanti all’appartamento di Dahmer e, nonostante i vicini sostenessero che si trattasse di un 14enne, la polizia riconsegnò il ragazzo al suo aguzzino, credendo alla sua parola, nonostante Dahmer all’epoca fosse già stato in carcere per abuso sessuale su minori e più volte segnalato per atti osceni in luogo pubblico e tentato addescamento.

Da qui, Murphy introduce il tema dell’intoccabilità dei poliziotti, aggravata dalla componente raziale.

L’identità di Dahmer

La tematica dell’omosessualità di Dahmer e delle sue vittime, invece, è solo accennata. Non sembra esserci un disprezzo omofobico da parte delle autorità nei confronti di Dahmer o delle sue vittime, il ché risulta storicamente un po’ impossibile. Tuttavia, si può riflettere sulla repressione sessuale. Nella serie, Dahmer sembra reprimere il proprio orientamento sessuale così tanto da iniziare ad essere attratto dai cadaveri. Non credo che questa sia la sede adatta per disquisire di tematiche così complesse ma, nell’opera, Dahmer sembra un ragazzo confuso che non capisce e non accetta la propria sessualità, tanto da sviluppare degli interessi sessuali necrofili e sadici. Però, credo che nella realtà le cose non siano andate esattamente così.

Dahmer nella serie viene mostrato come un “bravo ragazzo” con delle devianze che cerca di controllare il più possibile. Alla fine viene mostrato pentito e desideroso di pagare per i propri peccati ma anche desideroso di perdono. E il regista sembra suggerire che ne sia meritevole. Sembra infatti esserci una sorta di messaggio di comprensione. Come a suggerire allo spettatore di non vedere Dahmer come un mostro ma di analizzare le cause e le motivazioni che generano il male e la violenza.

Alla fine, però, nonostante il sadismo dell’assassino non venga esplicitato e questo contribuisca a vedere Dahmer come “perdonabile”, si sviluppa comunque nel pubblico un’empatia maggiore per le vittime e per la vicina di casa Glenda. Quando questa apprende la notizia dell’uccisione di Dahmer in carcere, non può evitare di sorridere e, con lei, il pubblico.

Perdono vs Vendetta

L’ultimo episodio della miniserie riflette sul tema del perdono e delle vendetta. Ogni personaggio si pone in modo diverso nei confronti di Dahmer. Il padre lo perdona. Glenda pensa di averlo perdonato però, in cuor suo, non l’ha fatto. Il prete del carcere lo convince che Dio lo perdona, perchè Dio perdona tutti i suoi seguaci.

Ma non tutti sono d’accordo con questa visione di Dio. Un compagno di cella cristiano, uccide Dahmer sostenendo di essere un soldato della vendetta di Dio. E qui tutto si ribalta, il pubblico si rende conto che non sta dalla parte di Dahmer, ma che è davanti a una scelta: perdono o vendetta?

Dahmer – altre tematiche

La serie tocca anche altre tematiche quali la malattia mentale, tematica solo sfiorata come quella dell’omosessualità, forse per evitare di stigmatizzare certe categorie.

Si parla poi del tema dei fan di Dahmer, a mio parere molto interessante. Dahmer in carcere riceve lettere e regali da persone che lo ammirano. Nascono fumetti e libri su di lui e alcuni suoi oggetti vengono venduti come cimeli (gli occhiali di Jeffrey Dahmer sono stati recentemente venduti all’asta per 150mila dollari, dopo l’uscita della serie su Netflix). Si ragiona sul perchè accada questo e sulla figura del serial killer che dal XX secolo sembra essere sempre più frequente.

Si riflette anche sul come la narrativa horror (libri, film, fumetti) possa influenzare le menti e deviarle verso la violenza. Quest’ultimo aspetto è molto particolare e viene ribadito più volte. Dahmer viene raffigurato mentre obbliga le sue vittime a vedere l’Esorcista, film che dichiara di aver visto migliaia di volte. Poi, Dahmer viene paragonato a Freddy Krueger nella lettera di un fan. Cosa può voler dire Murphy con questo? Un regista che ha basato la sua intera produzione su un horror splatter, sadico ed esageratamente inquietante, crede forse che il suo lavoro di regista horror possa creare degli spettatori violenti? O si tratta di ironia?

Personalmente non credo che l’horror influenzi negativamente il pubblico, tanto meno che generi dei mostri. Credo piuttosto il contrario. Personaggi come Jeffrey Dahmer sono una fonte di ispirazione per le storie horror perchè, si sa, il racconto tratto da fatti realmente accaduti sarà sempre più accattivante per il pubblico. E la figura del serial killer ha sempre affascinato gli amanti del genere horror, dalle grandi saghe degli anni ’70 ai grandi romanzi degli anni 2000.

Conclusioni

Un’altra questione interessante è quella relativa al titolo della serie: Dahmer – mostro. Nell’opera, Dahmer non viene mostrato come un mostro. E’ molto più mostruoso in qualsiasi articolo di giornale che riporti la sua storia. Sembra quindi, anche qui, esserci un invito a riflettere sul bene e sul male, sul perchè del male, sulle devianze, sulle malattie mentali. Alla fine della storia, il cervello di Dahmer viene messo da parte perchè la madre vuole indagare su eventuali patologie causa della sua violenza. Ma il padre fa ricorso e il cervello viene distrutto. Rimane aperto un interrogativo: perchè? Che cosa spinge un uomo a fare cose come quelle compiute da Dahmer? Una patologia innata? Una lesione cerebrale? L’abbandono? Il rifiuto? La solitudine?

Queste sono le domande che per tutta la serie turbano anche il padre di Jeffrey. Il loro rapporto padre-figlio e il dolore di un padre che cresce un assassino vengono mostrati con grande delicatezza. Un padre distrutto dai sensi di colpa e dal desiderio di trovare qualcun’altro da incolpare. Un uomo che vuole curare suo figlio, salvarlo nonostante la realtà dei fatti. Un padre che perdona suo figlio ma non sé stesso. La relazione tra Jeffrey Dahmer e suo padre è particolarmente toccante e ben narrata e arricchisce la serie.

Infine, vorrei ribadire che Dahmer-mostro vuole anche – e soprattutto – denunciare la polizia statunitense che non ha adeguatamente difeso le vittime di Dahmer perchè nere e la città di Milwaukee per non aver mai costruito un memoriale per quei 17 ragazzi brutalmente violati e assassinati. Un memoriale che prova a costruire Murphy alla fine della serie, mostrando foto e nomi delle vittime reali.

Tutti questi aspetti, uniti a una regia e a un cast di qualità fanno di Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer una delle migliori serie dell’anno. Da vedere per riflettere, piangere ed esorcizzare la paura che nutriamo verso gli altri, ma anche, quella che nutriamo verso noi stessi.

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