Pacific Rim respira dal 1972, quando il Maestro Gō Nagai ci lascia in compagnia del Mazinga Z. Travis Beacham e Guillermo del Toro scrivono così il migliore film di mecha degli ultimi anni. Nei primi 10 minuti ci viene presentata l’ambientazione e ciò che accade dal 2012 al 2025. Nell’abisso del Pacifico si è aperta una breccia interdimensionale e attraverso questa il mondo è stato attaccato da giganteschi mostri definiti Kaiju –termine nato per descrivere Godzilla. Per difendersi, gli umani hanno costruito gli Jaegar, giganteschi robot capaci di muoversi e combattere con l’ausilio di due piloti.

Il resto è la semplice storia di un’umanità rassegnata, contraddistinta da una piccola resistenza che scommette il tutto per tutto. Del Toro alla regia di questo blockbuster costato ben 190 mln di dollari, mette in scena una delle più grandiose metafore dell’umanità.
“Due piloti mescolano i ricordi con il corpo di una macchina gigante” – Il Drift
Il Drift è la connessione neurale tra due piloti affinché il cervello possa supportare la connessione con lo Jaegar, il regista lo mette in scena come una vera e propria immersione in un veloce montaggio di scene di vita a filtro blu, prima di ritornare nell’hub del mecha. Sarà l’espediente narrativo per diversi momenti del film, e ci permette subito di inquadrare uno dei temi fondamentali: la relazione tra le persone. Le persone stringono dei legami e si fondano tutti su una cosa: relazione tra almeno due persone.
“Quando la vita aliena entrò nel nostro mondo fu dal profondo dell’Oceano Pacifico”
I Kaiju sono creature devastanti. Essi ci vengono presentati inizialmente nel montaggio incredibile che occupa i primissimi minuti della pellicola. Creature che mixano la fantasia lovecraftiana dell’alieno terrificante e scientificamente evoluto, alla tradizione giapponese che vede il kaiju come la gigantesca incarnazione di una natura pronta a rispondere ai soprusi che subisce. I Kaiju non fanno altro che consumare i pianeti su cui possono essere ospitati. La Terra fu esplorata in primis da una forma minore degli alieni: i dinosauri. Dopo aver inquinato il pianeta, quest’ultimo ha iniziato a rispondere alle esigenze dei Kaiju. I Kaiju possono essere visti come l’ombra della nostra società, i vendicatori della morte della natura; e non servirà un colpo di scena per scoprire chi l’abbia assassinata.
“Per combattere i mostri creammo mostri a nostra volta. Nacque il programma Jaegar”
Gli Jaegar sono il risultato della collaborazione di tutta l’umanità. Il regista ce li presenta come il traguardo di tutti, operai che ci lavorano, coordinazione politica, economia funzionalizzata a salvare l’umanità: per lo Jaegar tutti sono fondamentali, e tutti ne fanno parte. La prima scena con uno Jaegar mostra la vittoria sul Kaiju, ed è proprio qui che l’umanità tutta può alzare la testa. Nel primo incontro tra un Kaiju e Gipsy Danger –il mecha dei nostri protagonisti, o anche il nostro protagonista-, quest’ultimo compare illuminato da dietro e ripreso dal basso, strizzando così l’occhio a iconografie cristiane o buddhiste.
I corpi dei nostri robot sono perfettamente descritti da degli effetti speciali studiati a puntino, i dettagli fanno da padrone e tutto pare avere una funzione ingegneristica ben precisa. Non va dimenticato l’epico grido di battaglia per nominare le armi utilizzate –sempre per ricordare la dimensione manga. La caratterizzazione dei diversi Jaegar è straordinaria. In pochissimi minuti di screen time il regista ci fa prendere familiarità con tutte le macchine attraverso la commistione di musica, dialoghi e scenografia. Ogni Jaegar ha un diverso tema, diversi ed iconici piloti ben presentati dal Marshal. Nel film, inoltre, scopriamo anche una spettacolare differenza tra gli hub di pilotaggio e le diverse tute che i piloti indossano per ogni mecha.
“La nostra squadra di ricerca: il dottor Gottlieb e il dottor Geiszler”
Newton Geiszler (Charlie Day) e Hermann Gottlieb (Burn Gorman) sono i due scienziati più che sopra le righe. Nel grande quadro che questo film rappresenta il primo è il volto pratico della scienza; la scienza che si sporca le mani. Il secondo è il volto teorico. Ciò viene scandito dal regista mostrando la differenza tra i rispettivi lati del laboratorio. Lavagne vs Campioni. Entrambi, però, per vie diverse, raggiungono la soluzione. Entrambi, in maniera opposta, comprendono come distruggere la Breccia, ed entrambi compiono il Drift con il cervello del Kaiju. Questo perché solo la scienza può veramente interfacciarsi con la natura e solo la scienza ha gli strumenti per guidare l’azione attraverso cui l’umanità può salvarsi.
“Per lei e per tutti gli altri io devo essere il vostro baluardo. Il vostro punto fermo”
Il Marshall Stacker Penthecost (Idris Elba) è la Legge, colui che guida la resistenza dell’umanità. Ogni parola che dice suona come qualcosa di epico. Costui è costretto a prendere decisioni difficili, sempre ai limiti del condivisibile. Come ogni condottiero non può che pensare al bene superiore, a qualsiasi costo, ed è per questo che non può mostrarsi vulnerabile o umano. Poco della regia c’è da sottolineare riguardo al nostro. Del Toro riesce però a sottolineare la sua umanità attraverso primi piani sul volto di un uomo malato e sofferente ma pronto a fare ciò che va fatto. Particolare è il suo rapporto con Mako Mori (Rinko Kikuchi). Da un lato mette in risalto il lato umano del Marshall; dall’altro mostra la sua forza quasi messianica nell’essere pronto a lasciarla andare.

“Vivi nella testa di un altro tanto tempo che la parte più difficile da gestire è il silenzio”
Makoe Raleigh Becket (Charlie Hunnam) sono difatto i protagonisti. La loro storia è quella di un amore profondamente umano, che supera il semplice schema di un amore romantico. Un legame a cui basta uno sguardo, la relazione che sorge dall’aver condiviso gli stessi ricordi, il dolore, la paura. Quando i due avranno il primo scambio dopo il Drift, sarà davanti al nucleo di Gipsy Danger. Il regista messicano mostra questo legame che permette di accedere al cuore dell’umanità stessa.
“Tutti noi oggi cancelleremo l’Apocalisse”
A completare il quadro c’è una meravigliosa fotografia. I colori freddi si animano nelle scene con gli Jaegar e la telecamera anima dei combattimenti che mixano la rissa da strada agli anime giapponesi. I colori caldi, invece, caratterizzano lo Shatterdome, generando lo sfondo del rifugio dei nostri. Il neon, al contrario, è il tono che caratterizza una Hong Kong che tende a un cyberpunk e che trova un brillante contrasto nelle gigantesche ossa di Kaiju, lì conservate. Le musiche composte da Ramin Djawadi sono vera e propria elettricità che alimentano questa perfetta macchina.
Ci sarebbe tanto da dire, si potrebbe scrivere una vita su questo film. La poetica di Del Toro è un inno alla speranza. Parte dell’umanità si sacrifica con la sola speranza che si possa davvero realizzare ciò che lo Jaegar semplicemente rappresenta. Per capire Pacific Rim bisogna guardarlo e ritrovarsi nello Jaegar, prima di perdersi nella magia del finale, la magia di un abbraccio.
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