Nel 1988 Francesca Archibugi debuttò alla regia con Mignon è partita, un brillante dramma intimista avente come protagonisti i componenti di una tipica famiglia borghese residente nel cuore di Roma. Vediamo così le vicissitudini del figlio Giorgio, il più sensibile del nucleo familiare in questione, della figlia Chiara, un’adolescente piuttosto ruspante e del superficiale Tommaso, il maggiore dei tre. Laura e Federico sono invece i genitori. La prima appare come una casalinga frustrata mentre il secondo è spesso assente.
Un giorno questa sorta di equilibrio familiare verrà spezzato dall’arrivo della cugina francese Mignon. Quest’ultima si rivelerà essere fin da subito snob e altezzosa. L’unico con cui sembrerebbe avere qualcosa in comune è Giorgio, con il quale la ragazza condivide la passione per la lettura.
Al suo esordio dietro la macchina da presa l’Archibugi fa centro. Mignon è partita è una pellicola deliziosa che affronta prevalentemente il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Non è un caso infatti che vengano citati Grandi speranze di Charles Dickens e L’isola di Arturo di Elsa Morante, due pietre miliari del romanzo di formazione.
All’inizio del film Giorgio, tramite la voce fuori campo, affermerà che prima che arrivasse Mignon si sentiva ancora un bambino piccolo. La ragazza francese porterà Giorgio ad una maturazione a livello personale. La regista de Il nome del figlio e Il colibrì già in questa sua opera prima mette in luce la proverbiale abilità che la contraddistingue nel dirigere i ragazzini. Inoltre scandaglia l’anima dei personaggi, permettendo allo spettatore di entrare in empatia con loro.
Mignon è partita accarezza anche i temi dell’abuso edilizio, della Sindrome di Down e del problema dell’istruzione scolastica italiana. L’ intramontabile Stefania Sandrelli è meravigliosa nei panni di questa donna tradita che, per forza di cose, fatica a tenere unito il nucleo familiare. La sua Laura è una mamma che vorrebbe tornare anche ad essere donna. Ma suo malgrado le convenzioni sociali glielo vietano.
Lo stesso Massimo Dapporto è bravissimo nei panni di quest’uomo che, più che amare Laura, ama l’esistenza che condurrebbe a stare con lei, in quanto non avere figli è sempre stato un suo grande cruccio.
All’uscita nelle sale Mignon è partita ottenne il consenso pressoché unanime della critica, tanto da aggiudicarsi ben cinque David di Donatello, rispettivamente assegnati per la miglior regista esordiente, la miglior sceneggiatura, la miglior attrice protagonista, il miglior attore non protagonista e il miglior fonico di presa diretta.
Molte sequenze presenti nel lungometraggio in questione inducono a più di una riflessione. Due mi hanno particolarmente colpito. Nella prima Mignon asserisce che nessuno vuole bene a nessuno, mettendo alla berlina l’egoismo insito negli esseri umani. Un’altra scena molto evocativa è quella in cui Giorgio, dopo che durante tutta la vicenda è riuscito a passare dalle sbarre di un cancello senza doverlo aprire, non riesce più a passarci. Un’allegoria questa molto efficace riguardante il nuovo status in cui si trova il ragazzo, il quale ha abbandonato definitivamente la fanciullezza.
Sotto certi aspetti Mignon è partita può essere definita come una pellicola esistenzialista che ricorda allo spettatore l’importanza incontrovertibile di saper cogliere al volo le occasioni che la vita ci offre. Pertinente a tal proposito risulta essere il seguente aforisma del celebre poeta inglese Robert Herrick: “Cogli la rosa quando è il momento, ché il tempo lo sai che vola… E lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà.”
In definitiva vi consiglio vivamente di recuperare questo gioiellino tutto italiano che rievoca il cinema dell’indimenticato Truffaut. E mi raccomando, non fatene partire troppe di Mignon!
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