Jack (Matt Dillon) è la prima delle due voci che aprono il film La casa di Jack, la seconda è quella di un uomo ancora misterioso (Bruno Ganz). Dopo poche battute veniamo portati a rivivere quelli che il protagonista definisce “incidenti”, cinque per l’esattezza, scelti casualmente in un periodo di dodici anni ed “Incidenti” sarà la parola curiosa che Jack utilizzerà per presentarci alcuni dei suoi omicidi.
Serial killer o artista? Ingegnere o architetto? Tutte domande valide suggerite dal capolavoro scritto e diretto da Lars von Trier. In questo trattato sull’arte, grandi attori compaiono accanto a Dillon ma tutti i loro personaggi sono mezzi senza nome che conducono Jack verso la sua opera massima. Presentata dal poeta classico Virgilio (Bruno Ganz), l’uomo con cui Jack dialoga dal secondo venti vedremo il culmine di un tragitto grottesco: una casa composta di corpi. Jack si presenterà a lui con un accappatoio rosso ed un cappuccio, Virgilio sarà in abito, pronti a scendere all’inferno dove il film terminerà con un grandioso Hit the road Jack del mitico Ray Charles a toni danteschi.
“Ma tutto questo non è di alcun interesse a meno che tu non sia un ingegnere” “Io sono un ingegnere”
Il film è messo in scena in maniera molto interessante. La fotografia illumina tutto con toni freddi e si crea un certo distacco tra chi guarda e lo schermo, eppure noi veniamo resi particolarmente partecipi, questo perché von Trier riesce con un montaggio documentaristico a dare spessore realistico – la macchina da presa molto mobile e i tagli ripetuti e frenetici. In altri momenti sembra di vedere tutt’altro, camera ferma e movimenti geometrici permettono di osservare le “opere d’arte” di Jack e goderne la terrificante perfezione. Non manca il black humour, la storia presenta un macabro umorismo che in certi momenti riesce a far suonare qualche digrignata risata. Alla prima visione questi elementi possono mandare in confusione lo spettatore ma con attenzione si può costatare che ogni incidente presenta un modulo registico. La penna e la camera sono tenuti dalla stessa persona e alla fine del 2° incidente si rivelano il senso narrativo e il significato del film attraverso due metafore: i lampioni e i negativi.
“Immagina un uomo che cammina lunga una strada sotto i lampioni”
La metafora viene descritta attraverso l’animazione di un disegno a gesso su una lavagna. Il continuo mutare dimensionale delle ombre tra i lampioni viene paragonato da Jack a quello che egli prova tra una morte e l’altra – il desiderio di uccidere provoca dolore, l’omicidio gioia, come le due ombre crescono e diminuiscono, così le due sensazioni di Jack si muovono. Dolore e gioia. Poi ancora dolore. Poi di nuovo morte. E allora di nuovo gioia.
Questo è il modulo con cui viene messo in scena La casa di Jack: prima di appagare il desiderio, la camera è frenetica; il godimento dell’opera è ripreso geometricamente. Il modulo però consta anche di altri elementi: all’inizio Jack intesse un rapporto con una donna, compie l’omicidio, mette in scena un’opera; si vede la famosa cella frigorifera, l’inespugnabile porta interna e si ascolta il dialogo con Virgilio, accompagnato dalle musiche, e non solo, di Glenn Gould.
“Attraverso il negativo vedi la vera qualità demoniaca insita nella luce: la luce oscura”
Il significato del film è proprio nella demonicità della luce, nel senso del negativo. Tutto il film presenta Jack come un artista, il killer ama fare fotografie e applicazioni ai corpi delle vittime ed gli stesso ci tiene a sostenere tesi che suffraghino la posizione; Virgilio di volta in volta presenterà controtesi. Ganz vede la realtà attraverso le categorie della luce: l’arte è l’amore per la vita. È l’albero su cui Goethe scriveva, che solo viveva dentro il campo di Buchenwald, a ricordarci che la bellezza può sopravvivere. Jack vive la realtà attraverso il negativo, i colori sono invertiti e l’arte è morte, è lo Stuka, sul quale alcuni artisti istallarono le Trombe di Gerico, sirene terrificanti che annunciavano l’arrivo del cacciabombardiere tedesco.
Alla fine Virgilio non accuserà, aiuterà Jack nell’esecuzione della sua più grande opera. Perché? La chiave di lettura che ci concede lo stesso von Trier pare annunciarci un messaggio: l’artista non è una persona a cui interessa la direzione morale dell’opera, non interessa il materiale, non interessa chi la compie. Alla fine Virgilio non accuserà, aiuterà l’artista. Perché l’uomo può essere accusato ma l’arte, qualsiasi essa sia, non può essere giudicata moralmente. Nel momento sacro in cui l’artista crea, come Dio, va solo contemplato. Virgilio, colui dal quale Dante ha appreso lo bello stilo che gli fece onore, davanti all’arte non può che contemplare.
“Cos’ha a che fare quell’uomo ridicolo con questa storia?” “È Glenn Gould. Uno dei più grandi pianisti della nostra epoca, lui rappresenta l’arte”
Glenn Gould è il nostro Jack: entrambi condividono personalità complesse condite da psicosi ed entrambi sono artisti che chiedono alla materia una particolare flessione.
Glenn Gould fu convinto che il pianoforte non gli bastasse tecnicamente, per questo mentre suonava emetteva uno strano canto; Jack così, man mano che uccide, sente la necessità di modificare i corpi delle vittime perché possano essere arte. Così in ogni incidente sarà presente qualche scena in cui il compositore lavorava, per comprendere lasciarci intendere dove e come è Jack in quel momento.
Il picco sarà nel 4° incidente, dove Gould sfrena la propria musica e non ci viene mostrato lo stato della vittima in quanto “tutti i cavalli del re e tutti gli uomini del re non avrebbero mai potuto rimettere insieme Simple”. Così Jack perde la propria umanità man mano, si allevia il disturbo ossessivo compulsivo, la necessità di pulizia, attraverso l’arte, attraverso l’omicidio.
Nell’ultima grande opera, possibile solo dopo aver aperto la misteriosa porta dove risiede anche Virgilio, si coniugheranno tutti gli aspetti di Jack: ingegnere nell’utilizzo del materiale perfetto e architetto nel suo impiego armonico, killer nell’aver usato le sue vittime e artista nell’averle consacrate ad una costruzione orribile, grottesca ed eterna: una casa di corpi umani. Glenn Gould avrà allora completato la sua melodia.
“Per migliaia di anni gli esseri umani hanno provato a localizzare l’inferno. Tra gli altri metodi cercando il suono che genera”
L’ultima presentazione con lavagna e gesso ci presenta “Epilogo – Catabasi”. La casa apre sotto di sé una oscura botola che dà l’accesso agli ultimi 15 minuti del film: Il viaggio dei nostri all’Inferno, dove Jack è il novello Dante.
All’inizio la regia è documentaristica, ma dopo l’integrazione narrativa del disturbante stridio di sottofondo – le urla di infiniti dannati a tale profondità – Dillon vedrà il Paradiso, messo in scena come il ricordo più sereno della sua infanzia – ma senza potervi accedere. Il volto di Jack viene tagliato da una lacrima che spezza in primis chi guarda. Il diavolo stesso, dipinto in tutta la sua brutalità, fiero di non provare pentimento, lacrima alla vista del Paradiso a lui inaccessibile.
Tutta la scena infernale è un grande saluto al capolavoro visto, si sposano perfettamente i suoni e le scene, i colori caldi dell’Inferno con la fredda camera, il montaggio che mostra scienziati intenti a cercare l’Inferno e ricostruzioni di dipinti dove i nostri sono i protagonisti. Virgilio porta allora Dante ad un ponte rotto che nessuno è mai stato capace di attraversare. Il ponte per il Paradiso. Jack prova a raggiungerlo scalando la parete laterale ma cade in una cascata di lava. Colori al negativo. Hit the road Jack.
Grazie a Bruno Ganz, grazie a Matt Dillon e soprattutto grazie a Lars von Trier per aver messo in scena questo capolavoro. Non guardate questo film UNA volta, come il vino naturale, nel vostro schermo più resta e più cambia. Ridete con Jack. Odiate Jack. Provate compassione per Jack.
Questa è l’arte e l’umanità dalle mani di un artista e di un umano Lars von Trier.
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