Piove – Il dolore che diventa orrore

Dopo il successo di A classic horror story, Paolo Strippoli torna al cinema con Piove, una nuova pellicola dell’orrore dove abbandona i classici stilemi dell’horror per portare lo spettatore in atmosfere in bilico fra la realtà e il mondo interiore dei protagonisti.

Piove, il nuovo film di Paolo Strippoli.

Piove – Non c’è quiete nella tempesta

Ambientato in una Roma cupa e piovosa, opposta a come siamo abituati a vederla al cinema, il film segue la quotidianità di Thomas (Fabrizio Rongione), cuoco francese traferitosi anni fa nella capitale alla ricerca di fortuna, e dei suoi due figli Enrico (Francesco Gheghi) ed Barbara (Aurora Menenti). Come si evince fin dalle prime sequenze il nucleo familiare è devastato dalla perdita della madre (Cristiana Dell’Anna), la cui morte ha lasciato profonde cicatrici sia nel corpo che nello spirito.

Il rapporto fra padre e figlio è fortemente compromesso, entrambi prigionieri di un dolore che li isola e li allontana l’uno dall’altro. Unico barlume di luce in una casa in cui regna la sofferenza è la piccola Barbara, che però, oltre a lottare per cercare di tenere uniti i cocci di una famiglia distrutta, deve anche fare i conti con le conseguenze dell’incidente che l’hanno costretta sulla sedia a rotelle.

Per il suo ritorno Strippoli sceglie di nuovo il genere horror allontanandosi però dalla sua opera prima. Se nel suo primo lavoro ogni elemento orrorifico ha una spiegazione reale e concreta, questa volta il regista sceglie di realizzare una pellicola dal carattere introspettivo, facendo un grande uso di simbolismi e metafore e lasciando molto all’interpretazione del pubblico.

Sposando quella che è una caratteristica peculiare della prima cinematografia danese, Strippoli utilizza il fenomeno atmosferico della pioggia come metafora del dolore dei protagonisti che si ritrovano ad affrontare un’entità che si manifesta sotto forma di una nebbia che fuoriesce dai tombini, dagli scarichi di casa e in generale da ogni tipo di condotto sotterraneo.

A chi capita di inalare lo strano gas si trova costretto ad affrontare la parte più oscura del proprio io, in un progressivo aumento di violenza e rabbia incontrollata verso l’altro in ogni sua forma. La pellicola è quindi un’intensa metafora sugli effetti che il dolore ha sugli individui e su come sia capace di trasformare in un mostro chiunque preferisca tacere la propria sofferenza piuttosto che affrontarla.

Questa scelta trova riscontro anche nella fotografia, i cui toni cupi e spenti assieme alle inquadrature strette accentuano il senso di claustrofobia dei personaggi, attanagliati dai propri demoni interiori.

Con Piove Paolo Strippoli riconferma la sua maestria nel dirigere horror che non si limitano solo a spaventare lo spettatore ma che lo portano a considerare elementi fin ora lasciati in secondo piano.


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