Il soggetto di David Callaham, la sceneggiatura di Max Borenstein e la regia di Gareth Edwards rievocano la tradizione e firmano Godzilla (2014). Cosa accomuna il terremoto che distrusse una centrale nucleare nella città giapponese di Janjira e il crollo di una miniera nelle Filippine? La M.O.N.A.R.C.H: un’organizzazione segreta che monitora l’attività di antiche creature che abitavano la Terra, conosce e cela la risposta.
Il film si concentrerà sulla lotta tra Godzilla e due esemplari di MUTO – dei kaiju appena risvegliati – mentre l’ex ingegnere capo della centrale nucleare Joe Brody (Bryan Cranston), suo figlio Ford Brody (Aaron Taylor-Johnson) e il capo dell’organizzazione, il dottor Serizawa (Ken Watanabe), vivranno i rischi del conoscere chi sono i veri protagonisti della storia del pianeta Terra.
“Nel cinquantaquattro, per la prima volta un sottomarino nucleare raggiunge le profondità degli abissi, e risveglia qualcosa“
Toccare Godzilla significa toccare la storia del cinema. Significa discutere del cinema che coniuga politica e intrattenimento. La squadra che è dietro Godzilla (2014) sa il fatto suo. La musica accompagna il film e stupisce nei momenti in cui i kaiju lottano tra di loro – qui diventa epica e caratterizzata da un tono orchestrale che garantisce una profonda teatralità.
Gareth Edwards gira mixando lo stile tradizionale della lotta tra creature giganti e quello simil-Cloverfield, dove i soggetti scappano da mostri che provocano distruzione in larga scala. Le battaglie sono lente e, attraverso la frenesia del punto di vista dei soggetti vicini, si apprezza per contrasto quanto le creature siano mastodontiche.
Il film si muove piano ed ha un ritmo scandito – basti pensare che il primo MUTO compare dopo oltre mezz’ora e Godzilla dopo i primi 40 minuti. Dopo il primo atto, quello più strettamente investigativo, tutta l’opera rallenta e il clima diventa tensivo: le prime creature sono invisibili ai radar e quest’escamotage narrativo suscita ansia nello spettatore, siccome i MUTO possono comparire da un momento all’altro.
La fotografia è agile e attraverso i toni freddi crea un sapiente distacco tra l’osservatore e il film in modo tale da consentire la messa in scena, non facile, di alcune sequenze particolarmente interessanti – quella in cui Godzilla traspare dal fumo tra tutte. Il comparto tecnico, diretto dalla mano sapiente di Edwards, gli permette di esprimere un’estetica adatta a riparlare con coscienza della creatura che ha fatto la storia del cinema.
“Gli americani pensarono che fossero stati i russi, i russi che fossero gli americani. Tutti quei test nucleari negli anni ‘50? Non erano test.” “Cercavano di ucciderlo. Lui, un antico predatore alfa.“
Il film propone nuove origini a Godzilla: questo non è più una lucertola mutata dalle radiazioni bensì un antico animale in cima alla catena alimentare quando la terra era ancora altamente radioattiva. Questo cacciatore si nutriva delle radiazioni così, con il decadimento radioattivo del pianeta, si è dovuto rintanare più vicino al nucleo terrestre, così da sopravvivere grazie alla sua forte radioattività; verrà però risvegliato dalle radiazioni provenienti da un sottomarino nucleare particolarmente vicino al fondale marino.
La tematica legata al pericolo delle armi nucleari viene sollevata: il dottor Serizawa ha perso il padre durante il bombardamento di Hiroshima e sa come queste armi di distruzione di massa non hanno la capacità di difendere nessuno, né da altri paesi, né da altri pericoli.
“L’arroganza dell’uomo è pensare che la natura sia sotto il nostro controllo e non l’esatto contrario”.
Questo cambiamento è utile alla narrazione – basti pensare l’uso delle bombe atomiche come esca – ma non solo, permette di radicalizzare il discorso ambientalista del film. Se nei vecchi film Godzilla era un monito potente, a causa della sua pericolosità, ma contemporaneamente era alleato degli umani, simboleggiando i rischi e i benefici della tecnologia per gli umani, nel film in questione l’ordine è cambiato. La tecnologia è solo il mezzo attraverso cui l’umanità tenta di domare e soggiogare la natura, natura che però può rivelare il suo volto potente e distruttore.
Il film riesce a trasmettere la debolezza dell’umanità difronte ai MUTO, creature sulle quali i nostri congegni sono inefficaci e per le quali le nostre armi più potenti sono “cibo”. L’unico modo per vincere e non restarne schiacciati è affidarsi a Godzilla. Quest’ultima creatura corrisponde alla personificazione di un Dio, il predatore Alfa, la natura stessa che dimostra la propria piena potenza. L’umanità solo così potrà sopravvivere: riconoscendo il primato della natura.
“La natura ha un ordine, il potere di ristabilire l’equilibrio. Io credo che sia lui quel potere“.
Rievocare Gojira necessita di una grande dose di coraggio da un lato, dall’altro di una formula vincente. Serve un kaiju che rispetti la tradizione ma sia contemporaneo. Registicamente è stato fatto attraverso la formula Godzilla-Cloverfield.
Ma il design di Godzilla? La commissione di un orso, di un’orca e di altri animali hanno permesso di strutturare il movimento della creatura. Per il ruggito si è puntato al barrito dell’elefante, all’ululato del lupo, al richiamo delle balene, una canzone dei Rolling Stones ed altri ingredienti; classiche spine sul dorso, solo leggermente più omologate ai colori del mostro che brillano durante il più che classico soffio atomico. Tutto ciò dà vita al magnifico mostro.
Cos’altro dire di Godzilla (2014)? La trama è forse un po’ debole, gli attori sono quasi tutti in parte – con Ken Watanabe un po’ troppo sopra le righe e Aaron Taylor-Johnson un po’ troppo anonimo. Ma in compenso abbiamo un ottimo kaiju-film con un’intensa battaglia finale. Abbiamo un film che ci ricorda quale dovrebbe essere il nostro posto nel mondo e la potenza della natura – protettrice , quanto pericolosa nemica. Abbiamo, ancora una volta, Godzilla.
Così saluta Ken Watanabe:
Ovunque vada Godzilla, una montagna di macerie resta lungo il suo cammino. Non si tratta di una creatura governata dalla logica. La prima volta che Godzilla appare in pieno sullo schermo, il pubblico sente un ruggito, scatenando una vibrazione indescrivibile. Non è come il ringhio di un cane, ma più un lamento, qualcosa di profondamente straziante. Hai la sensazione di incontrare una forza al di fuori del controllo umano, qualcosa anche di simile a un disastro naturale o a una sorta di rivelazione divina. È come se qualcosa ci stesse castigando. Come sapete, la società umana è complessa e lo diventa sempre di più, che si tratti di relazioni tra paesi o tra le persone. Le risposte non sono facili da trovare, e in quel contesto, le vibrazioni scatenate da Godzilla portano le persone a farsi delle domande sui propri stili di vita, e le vibrazioni, ovviamente, possono facilmente trascendere i confini nazionali.
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