“Ora i miei incantesimi si sono tutti spenti. La forza che possiedo è solo mia, ed è poca”. Con un estratto da La tempesta di William Shakespeare si apre Il ritorno di Casanova, il nuovo film di Gabriele Salvatores.
A quasi due anni di distanza da Comedians il regista premio Oscar torna sul grande schermo con un dramedy che vede come protagonista Leo Bernardi (Toni Servillo), un regista in crisi esistenziale che non trova la forza di montare la sua nuova opera, intitolata appunto Il ritorno di Casanova.
Il tempo a disposizione per farlo è sempre minore in quanto il lungometraggio dovrá approdare di lì a poco al Festival di Venezia. Ci penserà il fido montatore Gianni (Natalino Balasso) a risolvere la situazione, lavorando di fatto al posto di Leo, suo amico fraterno.
Parallelamente a questa vicenda, girata da Salvatores in bianco e nero, vediamo la storia di un Casanova anziano (Fabrizio Bentivoglio), decisamente restìo ad accettare il tempo che passa, tanto da avere la presunzione di andare a letto con una giovane e avvenente ragazza. Il regista di Mediterraneo e Happy Family come al solito riesce a non ripetersi portando in sala una pellicola dal respiro internazionale in cui per la prima volta, a detta sua, ha inserito riflessioni e paure personali.
Quest’ultima fatica di Salvatores affronta magistralmente temi esistenziali come il timore di invecchiare e di lasciarsi andare. Bernardi, infatti, in una sequenza molto significativa affermerà che un film si può controllare ma la vita vera no. L’unico modo per viverla in maniera appagante è quello di abbandonarsi, nel bene e nel male, alla sua imprevedibilità.
Pertinente a tal proposito risulta il seguente aforisma di Walter Hagen: “Sei qui solo per una breve visita. Non fare in fretta, non preoccuparti. E assicurati di annusare i fiori lungo la strada”.
Il ritorno di Casanova presenta evidenti contaminazioni felliniane e alleniane. Pur con tutte le differenze del caso, infatti, chi ama il cinema non può non accostare questo film a 8½, pietra miliare della Settima Arte e a Stardust Memories, lungometraggio autobiografico di Allen che segue le orme del capolavoro di Fellini. Il regista partenopeo al fine di narrare cinematograficamente l’addio alla giovinezza prende spunto dal famoso romanzo di Arthur Schnitzler (Casanovas Heimfart). Un racconto sempre attuale in cui il rinomato scrittore austriaco narra in maniera sferzante il decadimento fisico di un seduttore, mettendo a nudo la sua anima e il suo corpo in un duello memorabile in cui Casanova ucciderá di fatto una parte di sè.
Salvatores non dimentica inoltre di rimarcare l’importanza incontrovertibile dello spettatore. In una scena infatti Bernardi asserirá che un film avrá vita finché ci sarà qualcuno disposto a guardarlo. Il ritorno di Casanova funziona anche perché è permeato da un’ironia che rievoca Jacques Tati. Niente è lasciato al caso in quest’opera, neanche la casa in cui abita il protagonista. In quanto sia lui che la propria abitazione appaiono inizialmente asettici. Inoltre gli oggetti che gravitano intorno a Bernardi diverranno sempre più incontrollabili, esattamente alla stregua delle sue emozioni.
Servillo e Bentivoglio suggellano tutto il loro smisurato talento. Il primo con una performance intensa e al contempo asciutta mentre il secondo fa sfoggio di tutta la sua proverbiale ironia per tratteggiare questo “tombeur de Femme” al tramonto. Non meno importanti in questa storia sono le donne. La splendida Bianca Panconi si cala con molta grazia e naturalezza nei panni di Marcolina, vista da Casanova come l’ultima speranza per ritrovare il vigore di un tempo. L’affascinante e versatile Sara Serraiocco invece incarna una contadina che fará capitolare il protagonista ponendolo di fronte ad una scelta che potrebbe cambiare radicalmente la sua intera esistenza.
Non manca una stoccata alla morbosità di un certo tipo di stampa. Memorabile a tal proposito una sequenza in cui Leo Bernardi allontanerà i giornalisti con una spada. È un bellissimo film questo diciamolo, uno dei migliori di Salvatores, il quale è abilissimo nel dosare gli ingredienti a sua disposizione. Anche la scelta di creare un’atmosfera sospesa risulta azzeccata in quanto il protagonista sta vivendo una fase della propria esistenza in cui si trova a un bivio. Deve scegliere tra il “vecchio” e il “nuovo”.
Questo irresistibile gioco metacinematografico si pone anche l’obiettivo di mostrare allo spettatore che in alcuni casi tra chi ama la Settima Arte e quest’ultima nasce una vera e propria storia d’amore. Mi congedo ponendovi la seguente domanda che aleggia durante l’intera durata della pellicola: È più importante la vita o il cinema?
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