Madre Notturna – Tutti i lupi nascono con gli occhi azzurri

Madre Notturna, scritto e diretto da Daniele Campea, mostra le sorti di una famiglia italiana trasferitasi nella propria casa di campagna durante il boom pandemico. Agnese (Susanna Costaglione), madre di famiglia afflitta da problemi mentali, suo marito Riccardo (Edoardo Oliva) e la loro figlia Arianna (Sofia Ponente) danno corpo ad una trama elegante quanto intrigante.

Il film adempie i canoni del thriller psicologico attraverso una suggestiva sceneggiatura: vengono sollevati dubbi sulla follia della madre e sulla possibile implicazione del padre su quest’ultima. Si dubita sulle cause della morte del piccolo Leo – figlio minore di Agnese e Riccardo. Il covid è solo il terreno su cui poggiano i piedi il regista e la troupe. Il giallo si tinge di nero nella virata verso l’horror che il film compie nel terzo atto. Qui, Campea lascia la possibilità di intendere il tutto come mosso dalla forza paganeggiante della natura: nell’avvolgente boscaglia abruzzese la luna si anima e i lupi diventano la porta d’ingresso per Agnese verso il finale esplosivo.

Madre Notturna, film di Daniele Campea.
Madre Notturna, un film di Daniele Campea.

Pensi che Agnese possa lavorare?

Madre Notturna poggia il peso di un’estetica impressionista sulla fotografia, sul montaggio e sulla musica, elementi che riescono a collaborare all’ordine semantico che il regista vuole offrirci.

Il bosco viene ripreso spesso dall’alto con un leggero fish eye che riflette l’immensità e la profondità del verde; il suo interno è sempre luminoso e, man mano che il film si accende, la sua notte si muove tra tonalità fredde: dal ghiaccio iniziale fino al viola della fine. Gli interni invece sono cupi, perfettamente in linea con il crescente sospetto e l’angoscia dei membri della famiglia, impressionisticamente riflesso in una finestra da cui la luce entra illuminando la stanza ma senza renderla luminosa. La fotografia di Federico Deidda è lo strumento attraverso cui Campea può far lavorare tutto Madre Notturna.

La camera generalmente si muove in maniera geometrica senza protagonismi del regista, cambia e diventa più vibrante nelle scene in cui Sofia Ponente danza, scene che scandiscono perfettamente i momenti di trasformazione/liberazione della natura di Agnese. Proprio così si scandiscono anche le fasi del film: più la natura si libera, più la danza si accende e più ci avviciniamo al finale. Le transizioni di scena sono rigide e spesso intervallate da riprese del cielo o del paesaggio, che non stufano grazie alla potenza dell’immagine che frattura l’ordine narrativo pur rispettando il leitmotiv generale; anche se tutto questo pesa sul minutaggio.

La musica coniuga una potente funzione narrativa (basti pensare a Casta Diva e come Norma sia una chiave importante per entrare nel film) alla semplice, ma non banale, costruzione dell’atmosfera e della tensione.

“Tu sei contento?” “Si. Siamo una famiglia

Qualche parola va spesa per gli interpreti dei nostri tre personaggi: Susanna Costaglione è incredibilmente in parte e riesce a riflettere perfettamente le delusioni e le preoccupazioni di una donna che sta perdendo sua figlia senza essere capace di fermare il processo che la sta allontanando. La sua performance è potente tanto quando protagonista dell’intrigo sia quando avatar della natura femminile risvegliata. Sofia Ponente è grandiosa nelle scene di danza e riesce ad essere in parte nei dialoghi con la madre ma l’età la tradisce nel suo ruolo di adolescente. L’attrice è forse troppo adulta anche se questo non danneggia assolutamente la fruibilità del gran film di Campea. E’ Oliva a non convincere troppo: nelle scene con la figlia suona troppo estraneo al ruolo di padre e conserva un’ambiguità che cozza con l’ordine della narrazione.

Arianna, le condizioni di tuo padre sono peggiorate. Dobbiamo intubarlo

Il covid è il pretesto narrativo affinché Riccardo possa uscire fuori di scena, così da permettere l’incontro/scontro tra Agnese e la figlia. È qui che si articola il thriller psicologico. Il piccolo fratello di Arianna fu trovato morto accanto al letto, la presunta colpevole era la madre mossa da un momento psicopatologico – questo giustifica la mole di farmaci e il periodo in una clinica della nostra protagonista. Il personaggio di Susanna Costaglione è però convinto che il marito l’abbia indotta alla follia e abbia plagiato la loro figlia.

Il regista sa tenere alta la tensione dandoci indizi e soluzioni a piccole dosi: Riccardo ha un’amante ma vuole che tutto torni come prima. Il padre amorevole, messo in scena da Edoardo Oliva, nasconde più di quello che sembra e Agnese ha collezionato diverse prove riguardo alle azioni sospette del marito, in direzione dell’abbandono della famiglia per costruirsi una realtà con l’altra donna. Non riusciranno neanche queste a convincere la giovane Arianna, ormai educata a riconoscere come vera la realtà creata da Riccardo.

Tutto questo ci viene servito con grande cautela fino alla scena finale, dove Campea lascia intendere che il nostro padre di famiglia fu l’ultimo a vedere il piccolo Leo prima che morisse, dando respiro alle ipotesi di Agnese.

È una preghiera alla luna

Seppur il movente di Riccardo sembra sproporzionato a ciò che lo stesso imbastisce, il film regge sull’ambiguità possibile e il messaggio potente che può passare perfettamente attraverso tale costruzione. Campea riesce infatti a mettere in scena un interessante film sociale. E’ possibile infatti leggere tutto il film come una metafora della violenza che subiscono le donne all’interno della famiglia borghese italiana. Classica famiglia economicamente stabile nella quale il marito, attraverso viscidi sotterfugi, riesce a estrinsecare i propri impulsi mentre, sostenendo le istanze patriarcali, seda quelli della moglie e veicola quelli della figlia.

La divinità del bosco compare alla madre infatti nel momento in cui è più assoggettata: lei è tornata a casa dal marito che ha virtualmente vinto – conserva l’amante, ha educato la figlia a rispettare la sua autorità genitoriale e continua con la sua carriera. Agnese conserverà la zanna di un lupo proprio come simbolo della sua naturalità, e non è un caso che in una scena Riccardo proverà a prendersela. Mentre però la donna continua il suo processo di emancipazione distanziandosi dal personaggio di Norma della Casta diva (che si toglierà la vita dopo aver valutato di uccidere la figlia), la giovane Arianna incanalerà le pulsioni naturali non in atti di liberazione dal giogo del padre, semmai esaurirà la loro potenzialità sfogandoli nella masturbazione.

La senti questa musica?

Agnese dimostrerà nella scena finale di amare la figlia, tanto da non ucciderla nemmeno quando sarà il più ferina – sarebbe meglio dire libera – possibile. È solo attraverso l’aver abbracciato la totale naturalità che la donna riesce del tutto a scardinare il suo ruolo di madre borghese e ad essere finalmente libera dalla realtà messa appunto da Riccardo.

Campea vuole trasmetterci forse un pessimismo verso la condizione delle donne nella realtà borghese? Vuole discutere della necessità di lasciar fluire i propri impulsi prima che si radicalizzino in momenti patologici non più recuperabili? Vuol suggerirci di non finire come Arianna, soggiogati dal violento gioco dei ruoli della società? La risposta a queste domande non è necessaria per apprezzare un film che brilla sotto alcuni aspetti tecnici e grazie ad alcune interpretazioni.

Madre notturna non è un film costruito per il grande pubblico… ma che in fin dei conti gli farebbe un gran bene.

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