Rapito è un film del 2023, diretto da Marco Bellocchio definito di recente da Paolo Sorrentino, con la sua proverbiale ironia, come il più giovane dei registi italiani. Non a torto in quanto negli ultimi tempi ha dimostrato di possedere una vena creativa inesauribile che gli ha permesso di realizzare veri e propri capolavori del calibro di Fai bei sogni, Il traditore e Esterno notte per citarne alcuni.
Da anni l’intramontabile regista piacentino covava il desiderio di raccontare per immagini la vicenda di Edgardo Mortara, un ebreo di origine bolognese che nel 1858, all’età di sei anni, venne strappato alla famiglia dalla gendarmeria pontificia. Pio IX infatti, il Papa di allora, dopo aver appreso che Edgardo da neonato era stato segretamente battezzato, decise di portare il bambino nelle mura vaticane per crescerlo secondo i dettami del diritto canonico.
Fu inizialmente Steven Spielberg ad accarezzare l’idea di portare questo sconvolgente caso di cronaca sul grande schermo, ma per vari motivi la accantonò. Con Marco Bellocchio ecco finalmente approdare al cinema una triste pagina della storia ecclesiastica che meritava indubbiamente di essere raccontata.
Quest’ultima fatica di Bellocchio inizialmente si doveva intitolare La conversione ma alla fine si è optato per Rapito, un titolo che si sposa decisamente meglio con la brutalità dell’accaduto. Parallelamente alle vicissitudini della famiglia Mortara nella pellicola vedremo anche la progressiva perdita del potere temporale da parte del pontefice. Quest’ultimo, sotto certi aspetti, si servì del piccolo Edgardo per marcare prepotentemente la propria autorità, che stava cominciando pericolosamente a vacillare.
Il regista de I pugni in tasca e Vincere non si limita a raccontare in maniera didascalica i vari avvenimenti che si susseguono nella pellicola ma li narra con la cifra stilistica che lo contraddistingue. Non mancano infatti i chiaroscuri di stampo caravaggesco, i simbolismi, i momenti onirici, quelli funerei e le ossessioni che fagocitano i personaggi. Allo stesso modo di come aveva fatto nella bellissima serie incentrata sul rapimento di Aldo Moro in Rapito Bellocchio si sofferma gradualmente su ognuno dei protagonisti del film, scandagliandoli.
Il cast è straordinario e annovera attori come Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, il piccolo Enea Sala, Leonardo Maltese e Paolo Calabresi tra i tanti.
Tutto porterebbe a pensare che l’ultima fatica di Bellocchio sia un “J’accuse” contro la Chiesa. Non è così. Rapito non è un film ideologico, piuttosto lo si può definire come un accorato appello laico e iconoclasta contro il fanatismo e il proselitismo, quello sì.
Pertinente a tal proposito risulta il seguente aforisma del noto poeta greco Alekos Panagulis: “È ad incasellarsi nel dogma, nella cieca certezza di aver conquistato la verità in assoluto che si perde il significato della libertà: senza di essa l’uomo non è uomo e il pensiero non è pensiero.”
L’ultimo lavoro di Bellocchio è un’opera monumentale in cui funziona tutto a meraviglia. Niente è lasciato al caso, compresi i costumi e il dialetto emiliano dell’epoca rappresentata. Rapito è un capolavoro da vedere in sala che da nuova linfa al cinema d’impegno civile!
Ci sono due sequenze analoghe che riassumono metaforicamente il significato più recondito del lungometraggio in questione. In una di queste Edgardo si nasconde sotto la veste della madre mentre nell’altra sotto quella del Papa, ma nessuna delle due lo metterà al sicuro dal momento che il fondamentalismo religioso non protegge gli esseri umani, al contrario li espone stupidamente a molteplici pericoli. Non è infatti con i dogmi che si può ambire alla felicità bensì con il libero arbitrio!
Leggi anche: Menocchio – Un mugnaio friulano contro la Chiesa Cattolica
Lascia un commento